08/09/2011 - La parola cui abbiamo creduto

OMAGGIO A EDOARDO SANGUINETI

2011_09_08_024
Edoardo Sanguineti è stato uno dei più importanti interpreti della poesia italiana del Novecento. Capofila della neoavanguardia poetica, insieme a Elio Pagliarani e Antonio Porta partecipò alla raccolta collettiva di poesia "I nuovissimi" (1961), per poi passare con un ruolo determinante e fondativo al Gruppo '63. La sua poesia sperimentale rappresenta la 'dissoluzione' del linguaggio quotidiano, come dimostrazione dell'impossibilità del comunicare nella società dei consumi. Dal linguismo folgorante dei primi lavori e dalla bulimia senza razionalità di parole e immagini ("Laborintus", "Erotopaegnia", "Triperuno"), Sanguineti elaborò con il tempo un regime satirico e grottesco a cui non furono estranei il realismo marxista e la psicoanalisi ("Postkarten", "Segnalibro", "Bisbidis", "Per musica"). Niva Lorenzini, docente di Letteratura Italiana Contemporanea all'Università di Bologna, ripercorre l'opera del poeta genovese insieme a Mario Artioli. Letture a cura di Nicola De Buono.

L'evento 024 ha subito variazioni rispetto a quanto riportato sul programma. Originariamente non era prevista la presenza di Giorgio Signoretti.
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Italiano
Che cosa lascia un poeta quando muore? Non diversamente dagli altri uomini, un testamento. E se il poeta è Edoardo Sanguineti lascia un Testamentum non Antico, non Nuovo ma Novissimum, anche in riferimento alla raccolta del 1961, "I Nuovissimi". Ed è anche della lettura di questo testo affidata alla voce di Nicola De Buono, affiancata da Niva Lorenzini e Mario Artioli, al grande poeta scomparso il 18 maggio del 2010. Un testo-testamento che, come il suo autore, è irriverente, intelligente, «pornografia del tragico» come l'ha definito Zanzotto, «tragedia della pornografia» come l'ha definito Sanguineti, secondo cui in fondo «la vita è una pornotragedia». Una poesia che nasce da dati autobiografici concreti e fedelmente riportati e che ospita un io prevaricante, sempre in scena. Ma è una poesia che non si esaurisce nel ludico o nel biografico e trova lo spazio per l'impegno recuperando una concezione del poeta come coscienza critica del proprio tempo. Un testo-testamento prezioso, denso, complicato, insolito e forse la via migliore per omaggiare questo poeta, dato che, come egli stesso afferma, «si scrive in prima persona ma si vive in terza».

Poeta abilissimo, ma anche intellettuale internazionale, saggista e traduttore dei tragici greci e latini, instancabile viaggiatore e inquieta voce critica del proprio tempo: tutto questo è stato Edoardo Sanguineti. Per Niva Lorenzini, docente di Letteratura Contemporanea all'Università di Bologna è «quasi impossibile è tracciarne la biografia».
La sua è un'impaziente antologia', fatta di poesia sperimentale che dissolve il linguaggio e disarticola la sintassi per dimostrare il baratro su cui langue una società opulenta al suo tramonto. Dalla lingua esplosiva di Laborintus, quel «furentissimo 'pastiche'» disprezzato da Pasolini, perché impregnato di mille lingue, «un tipico prodotto del neosperimentalismo post-ermetico» (Pasolini), carne e spirito, nell'alveo di una tradizione poetica più volte echeggiata ed alterata. Citazioni da T.S. Eliot e Ezra Pound, ma anche Dante e Iacopone da Todi in un dilagare di stilemi e frammenti che contraddistinguono la sua opera.
Capofila della neoavanguardia poetica con il Gruppo 63 «risultato dei legami e dei contatti culturali degli anni precedenti» (Sanguineti), rinnova linguaggio e costume del proprio tempo. Lucidissimo e inclemente, mutevole e pur sempre coerente con se stesso, dagli esordi fino all'ultima Epistolina a N. B. in cui non manca la riflessione amara sugli imperatori di oggi, fragilissimi e senza impero. L'ultimo esito del regime linguistico sarcastico e irriverente che Sanguineti elaborò con il tempo ("Postkarten", "Bisbidis").
Fra i punti più alti il "Novissimum Testamentum", ironico fin dal titolo, che fa correre la mente al François Villon dell'"Opera da tre soldi" di Brecht. Lo straniamento d'altronde fu parte costante della sua esperienza, una volta dissolti i confini fra vita e poesia, perché in fondo «Si scrive in prima persona, si vive in terza, alla Brecht» (Sanguineti). 

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