12/09/2009 - Mediterraneo in giallo

Francisco González Ledesma con Luca Crovi

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«Sono figlio della guerra civile, ho visto la sofferenza nelle strade di Barcellona. La Barcellona delle strade è la più autentica e tutti i miei personaggi sono veri, presi dalla strada». Francisco González Ledesma ha intrapreso giovanissimo la carriera letteraria, nonostante il regime franchista abbia più volte censurato i suoi romanzi. La sua vena poliziesca e gli spunti delle sue storie nascono dalla sua attività di giornalista e di avvocato. Protagonista dei romanzi di Ledesma ("Storia di un dio da marciapiede"; "Mistero di strada") è Méndez, un vecchio poliziotto, una carogna incapace di staccarsi dalla strada, una bestia ferita a caccia di giustizia e verità. Incontra l'autore il giornalista Luca Crovi. 

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Approfondimento evento 167 Un atto d'amore verso la sua città, Barcellona. Dietro ai delitti, alle indagini, alle spalle dei personaggi, dei protagonisti e delle comparse, parlano soprattutto le strade. Quelle sudicie, buie e silenziose, quelle chiassose e caleidoscopiche come solo le città di mare sanno essere. Il linguaggio di Francisco Gonzales Ledesma - che ha incontrato il pubblico del festival tra le mura degli ieratici corridoi del liceo classico Virgilio - è pittorico. Perché in quasi due ore di monologo, intervallato dalle domande del giornalista Luca Crovi, travolto dalle divagazioni e dagli aneddoti del creatore dell'ispettore Méndez, si è parlato soprattutto di lei, di Barcellona. Attraverso un percorso visuale che nei luoghi più che nelle persone conduce alla genesi della «carogna», del cinico poliziotto di quartiere che ha stregato il pubblico italiano sbarcando dopo anni, grazie all'editore Giano, nelle librerie. «Ho iniziato a scrivere durante il franchismo - ha spiegato Ledesma - e sono stato censurato: dicevano che ero comunista e pornografo». Sono quelli gli anni della formazione dello scrittore, che assieme all'amico Vasquez Montalban, con il quale fondò il Gruppo dei giornalisti democratici in opposizione al regime, ha vissuto nei vicoli dei quartieri catalani guadagnandosi da vivere scrivendo sotto pseudonimo. Prima di diventare avvocato, ricco. «Una professione difficile e ammirevole - ha confessato Ledesma - ma che mi metteva davanti a qualcosa che non potevo sopportare: difendere la verità del cliente che troppo spesso non coincideva con la giusizia». Parole solo apparentemente retoriche, che risuonano piene e vere nello spagnolo di Ledesma. Una scelta, la sua, che l'ha portato ad intraprendere la carriera di giornalista già adulto, affermato, benestante. Ma incompleto, tanto da sacrificare gli agi della professione forense per abbracciare «il mestiere più bello del mondo», arrivando anche a vincere il premio di giornalista spagnolo dell'anno. Ledesma non parla molto di Méndez, preferisce parlare di sé. Perché l'ispettore dei suoi romanzi in fondo non è altro che la sua esperienza, la sua vita, condensata in parole, gesti, comportamenti. Del resto, è proprio lui a rivelare che la nascita del personaggio è dovuta all'incontro con quattro poliziotti in carne e ossa. «Credo nella verità della strada, più che in quella dei tribunali». È il modo di pensare di un «rojo», come lui stesso si autodefinisce. Di uno che ha conosciuto la dittatura e i bombardamenti, e che odia l'ingiustizia. Come Méndez.

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