07/09/2014

Michael Cunningham con Massimo Vincenzi

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«Credo che l'arte sia un tributo, una celebrazione della vita. Se si scrive si deve pagare questo tributo anche verso gli aspetti più difficili della vita, descrivendoli nelle proprie opere». Premio Pulitzer nel 1999 per Le ore, il romanzo che ne ha decretato il successo a livello internazionale, Michael Cunningham è uno degli autori di riferimento della letteratura americana contemporanea. La straordinaria empatia con i personaggi delle sue storie, l'abilità di scavare nei pensieri e nei sentimenti più reconditi, il dialogo ininterrotto con i grandi scrittori del passato ne fanno una sorta di classico del nostro tempo. Con il suo ultimo La regina delle nevi, Cunningham racconta un'America che ha smesso di puntare sul successo, riprendendo alcuni temi già presenti nelle sue opere precedenti come il sentimento del tempo, le relazioni familiari, la presenza della morte. Lo incontra il giornalista Massimo Vincenzi.
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«Una luce celestiale apparve a Barrett Meeks nel cielo sopra Central Park, quattro giorni dopo l'ennesima batosta d'amore». Fin da questo sintetico ed enigmatico incipit si annunciano quattro tematiche chiave dell'ultimo romanzo di Michael Cunningham, l'autore scelto per chiudere la diciottesima edizione di Festivaletteratura. Un onore non tributatogli a caso: da quel 1999 in cui il sottile intreccio di vite femminili intessuto in "Le ore" (che sovrappone magistralmente tre esistenze parallele situate in tre diversi momenti del Novecento: quella di Virginia Woolf, quella di una sua lettrice e quella di una moderna "Mrs Dalloway") gli era valso il premio Pulitzer, Cunningham si è imposto come uno dei più interessanti autori americani degli ultimi decenni (ma lui si schermisce: «I premi riflettono il gusto di chi li consegna, non esiste 'il libro più bello dell'anno'. Essere premiato significa solo che è il tuo anno fortunato»). Il primo passaggio di rilievo de "La regina delle nevi", come scritto sopra, è quello dell'apparizione di una «luce celestiale». Di che si tratta? Manifestazione del divino? Illusione? Qualche accidente naturale? «Il libro si apre con un trentenne ordinario (anche se in realtà nessuno è ordinario) che vede una luce e nota che la luce lo guarda e poi scompare. Ma che fare di un incipit del genere? Nell'Annunciazione c'è un angelo che porta un messaggio, ma qui mi sono chiesto: 'e se il messaggio della luce fosse semplicemente: là fuori c'è qualcuno, e nulla più? Questa tematica spirituale sta a rappresentare qualcosa che vale per tutti: il desiderio d'esser parte di un piano più grande». A proposito del suo rapporto con la spiritualità Cunningham racconta: «La spiritualità ha sempre significato molto per me. Vengo da una famiglia particolare: ho una madre cattolica e un padre ateo. In casa nostra c'era sempre questo senso di magia cattolica: mia madre ogni giorno tornava dalla messa un po' diversa». Il secondo elemento chiave del romanzo è un personaggio: Barrett Meeks, protagonista del libro insieme al fratello Tyler. Come osserva il giornalista Massimo Vincenzi, moderatore dell'incontro, allo scandaglio delle loro psicologie è dedicata gran parte dell'opera. «Uno scrittore è uno come tutti, e come tutti io sono attratto da un tipo di persone in particolare: la gente che sta cercando e sperando in una rivelazione. E mi attirano i personaggi di talento che però non sono ambiziosi, che non aspirano a fama e ricchezza». Il terzo elemento è l'allusione al «cielo sopra Central Park», che ci colloca immediatamente a New York, città che fa da sfondo a tutta la vicenda e che la situa immediatamente nel cuore degli Stati Uniti del dopo 11 settembre (il romanzo si svolge tra il 2004 e il 2008). La collocazione geografica ci cala dunque fin da subito in un paese tormentato, che sceglie di rieleggere Bush («il peggiore presidente della storia») e poi, nel finale, si apre verso Obama. Incuriosito, Vincenzi ha chiesto al suo interlocutore se ha votato Obama: «Ho fatto di più - ha risposto Cunningham - nella notte dell'elezione ero a un party da un amico. Quando abbiamo saputo della vittoria lui ci ha distribuito le mutande di Obama, e io sono salito su un tavolo a ballare in mutande; se le avessi qui, ve le mostrerei». A proposito dell''americanità' della "Regina delle nevi", l'autore aggiunge: «In sostanza è un libro sulla spiritualità, le droghe e lo shopping. Insomma, un libro totalmente americano. Manca solo un hamburger». Tornando all'incipit vi è un ultimo, fondamentale tema che vi si annuncia: l'amore. «Siamo macchine di carne, mosse dall'amore e dal desiderio dell'amore». Nella "Regina delle nevi" a fianco dell'amore sensuale assume un ruolo centrale anche l'amore fraterno: «Man mano che scrivo mi accorgo di avere alcuni temi ricorrenti, e uno è quello dei fratelli, che qui hanno un rapporto forse troppo stretto. Mi interessano gli affetti, non per forza erotici: ci sono pochi libri sull'amore insito in un'amicizia profonda». A proposito del titolo, invece, Cunningham si sofferma sul rapporto con l'omonima fiaba di Andersen, a cui il romanzo allude con elementi quali i due fratelli protagonisti, le atmosfere gelide e la continua raffigurazione delle malattie dei personaggi come schegge di ghiaccio; racconta poi che sta per pubblicare una raccolta di fiabe rivisitate. «La mia fascinazione per le fiabe ha un'origine molto semplice: sono le prime storie che ho sentito. Sono nel mio DNA». L'autore è inoltre al lavoro sul suo prossimo romanzo: «Sarà lunghissimo, questo è sicuro. Narra di diverse generazioni di una stessa famiglia e il filo conduttore è l'importanza di piccoli eventi apparentemente insignificanti che invece si ripercuoteranno per centinaia di anni». E come lavora Michael Cunningham? «Cerco sempre di scrivere un romanzo più intelligente di me. Una volta Flannery O'Connor ha detto: «Come fai a sorprendere i lettori se non hai prima sorpreso te stesso?». A volte, parlando di romanzi, si dimentica che nascono come un regalo. Io insegno e chiedo sempre ai miei studenti: 'per chi scrivi?' La risposta peggiore è 'per me': è come se ogni sera uno si cucinasse una bellissima torta guarnita e se la mangiasse da solo».

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