10.09.2010

Said Sayrafiezadeh con Enrico Franceschini

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«Era da tempo che non leggevo una biografia capace di catturare, in modo così convincente, il significato di un'infanzia americana» (Colum McCann). Con "Quando verrà la rivoluzione avremo tutti lo skateboard", Said Sayrafiezadeh si è imposto all'attenzione della critica internazionale, raccogliendo consensi unanimi ed entusiastici. Nel suo romanzo d'esordio, ambientato tra gli anni '70 e '80, l'autore statunitense rivisita con sarcasmo la propria giovinezza, stretta tra i dogmi rivoluzionari dei genitori socialisti e un disperato bisogno di normalità. A riprova del fatto che la débâcle delle grandi ideologie, più che sui libri di storia, può esser letta tra le pagine di un esilarante diario familiare. Lo intervista il giornalista Enrico Franceschini.

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Sono New York e l'Iran ma anche l'educazione familiare e politica, i temi affrontati da Said Sayrafiezadeh ed Enrico Franceschini durante l'evento tenutosi presso il chiostro del Museo Diocesano nel pomeriggio del terzo giorno di Festivaletteratura.
Lo scrittore e drammaturgo di Brooklyn di padre iraniano e madre ebrea spinto da un sentimento di dichiarata vendetta, narra dal vivo e con ironia le sue memorie di bambino in eterno conflitto con i genitori. Militanti nel "partito dei lavoratori socialisti americani", essi hanno infatti condizionato profondamente l'esistenza di Said impartendogli un'educazione rigida e fuori dai canoni tradizionali, già raccontata nel romanzo "Quando verrà la rivoluzione avremo tutti lo skateboard".
L'incontro ha svelato inoltre i riferimenti letterari dell'autore (Kafka, Baldwin, Orwell) il quale, rispondendo alla domanda di un'attenta lettrice che l'ha accostato allo stile di John Fante, risponde: «Non so se lui o altri scrittori mi abbiano aiutato a trovare una mia voce. Ciò che mi ha aiutato è stato alzare il volume sul versante dell'umorismo e abbassarlo sul versante della rabbia».

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