11/09/2010
PHILOSOPHER, C'EST CESSER DE VIVRE?
2010_09_11_132
Dans la tradition, depuis l'antiquité, nombre de philosophes affirment que "Philosopher, c'est apprendre à mourir". Or en général, on comprend cela comme la préparation à une mort physique, qui s'effectuera plutôt à un age avancé. Mais il nous semble que c'est immédiatement que nous devons mourir afin de philosopher: mourir à nos envies, à nos passions, à nos urgences, à nos opinions, à nos obligations sociales, à nos valeurs morales, à soi-même, etc. Petite mort d'un instant, expérience fondamentale. Durant cette séance, quelques idées seront lancées à ce sujet, puis s'ensuivra une sorte d'atelier de réflexion philosophique.
L'incontro si terrà in lingua francese senza traduzione.
L'incontro si terrà in lingua francese senza traduzione.
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Francese
Ore 11:00 in Chiesa di Santa Maria della Vittoria Oscar Brenifier prosegue nelle sue pratiche filosofiche, rivolgendosi stavolta a un pubblico di adulti.
"Philosopher, c'est cesser de vivre?". Questa è la domanda che introduce il suo intervento e la sua riflessione sulle piccole morti che ogni giorno ci ritroviamo a vivere. Da 25 anni facciamo la spesa nello stesso negozio, poi una mattina ci alziamo e improvvisamente quel negozio ha chiuso. Per un momento cessiamo di vivere. Oppure un figlio nasce, e inevitabilmente la nostra vita cambia, portandoci ancora una volta a cessare di vivere. In tutto questo perversa la malinconica sensazione che le cose non saranno mai più come prima.
Il concetto di finitudine gioca con noi a un vile rimpiattino, e paradossalmente vogliamo pure toccarlo e catturarlo, per poi schiacciarlo e farlo giocare di nuovo.
Giunge infine l'ironico momento delle domande, in cui il pubblico che interviene viene imbarazzantemente messo in questione, in un deformato dialogo maieutico dove si gira intorno all'idiozia piuttosto che alla verità.
"Philosopher, c'est cesser de vivre?". Questa è la domanda che introduce il suo intervento e la sua riflessione sulle piccole morti che ogni giorno ci ritroviamo a vivere. Da 25 anni facciamo la spesa nello stesso negozio, poi una mattina ci alziamo e improvvisamente quel negozio ha chiuso. Per un momento cessiamo di vivere. Oppure un figlio nasce, e inevitabilmente la nostra vita cambia, portandoci ancora una volta a cessare di vivere. In tutto questo perversa la malinconica sensazione che le cose non saranno mai più come prima.
Il concetto di finitudine gioca con noi a un vile rimpiattino, e paradossalmente vogliamo pure toccarlo e catturarlo, per poi schiacciarlo e farlo giocare di nuovo.
Giunge infine l'ironico momento delle domande, in cui il pubblico che interviene viene imbarazzantemente messo in questione, in un deformato dialogo maieutico dove si gira intorno all'idiozia piuttosto che alla verità.