05/09/2003

COME PUÒ UN EUROPEO CAPIRE UNA CITTÀ AMERICANA


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Joseph Rykwert è uno dei maggiori storici dell'architettura. Le sue ricerche, divenute un punto di riferimento per chiunque si interessi di urbanistica ("L'idea di città"; "La seduzione del luogo"), danno una lettura complessa della città, servendosi degli strumenti dell'architetto e di quelli dell'antropologo. Parla della forma delle città d'oltreoceano insieme al professor Cesare Stevan.



Battello ore 18.00 

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Italiano
Non c'è luogo migliore di Campo Canoa, con la skyline mantovana che si rispecchia nel Lago Inferiore, per confermare quella "seduzione del luogo" che dà il titolo all'ultimo lavoro di Joseph Rykwert, urbanista inglese innamorato del Bel Paese. Introduce con dovizia di particolari, dal pubblico giudicata talvolta eccessiva, Cesare Stevan, docente di Architettura Sociale. La sorpresa è grande quando il compìto studioso d'oltremanica sfodera un italiano perfetto, appena tradito dall'atonalità della parlata. Va subito al sodo, indagando i presenti con sguardo affilato: il tema è volutamente provocatorio ed intende per prima cosa demolire gli stereotipi (e questa criticità sembra una costante della biografia intellettuale di Rykwert), dell'immagine della città americana, diffusa e verticale, da una parte, e del suo contrastato rapporto con la città europea dall'altra. Punto di partenza è Manhattan, «capitale del mondo», e precisamente la tendenza a «fare il Manhattan in casa propria», e gli esempi sono numerosi (La Defense, i Docklands e pure l'Africa). Ma l'osservatore europeo deve tenere presente che la città americana oggi è labile, in continua evoluzione, resa fragile dalla progressiva privatizzazione dei sobborghi, e non farsi dunque ingannare dal grattacielo, svuotato del suo significato simbolico e sempre più funzionale all'altalenante logica del profitto. In definitiva, ricordiamoci che se «loro (americani) hanno lo spazio, noi abbiamo il tempo», storico, s'intende. La chiusura, affidata alle numerose domande, ci lascia con un'idea alta di architettura, che deve cibarsi dell'utopia e del sogno, con un architetto che costantemente esplora, da «buon boy-scout».

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