08/09/2005
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«Saprà la mia lingua custodirti/ e queste parole immerse/ farne ossa stagioni» ("La lingua di Dio"). Nata a Buenos Aires, Maria Angela Bedini svolge attività di ricerca preso l'Università delle Marche. La cifra della sua poesia è una parola tesa e robusta in direzione di una spiritualità quasi fisica alla maniera delle grandi mistiche. La introduce Nella Roveri.
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Italiano
Carezza, scava, ferisce. Incanta. È la voce pacata di Maria Angela Bedini, che, in controcanto, con la soavità di Nella Roveri, dà vita a un momento di profondo raccoglimento poetico; e leggendo brani tratti da "La lingua di Dio", ci addentra in quel commercio segreto tra cose, corpi e parole senza il quale vita e poesia si ritroverebbero prive di linfa. Narra di sé la Bedini, racconta di esperienze primordiali, di morte e di innamoramenti, ma la sua è una scrittura dai colori sabbiati che i nodi non scioglie: è un universo di mille frammenti che confluiscono in un buio spiazzante, una notte di mistici mormorii in anfibio equilibrio tra l'interno e l'esterno; perché in ogni caso non si può uscire da se stessi. Il silenzio si abbandona al fluire delle parole di Maria Angela, all'energia inarrestabile dell'oralità, che sfronda l'immobilità e la fissità dei caratteri fissati sulla pagina. Io guardo le cose e non vedo e non sento che il loro cantare: così recitano alcuni suoi versi, che in ultimo altro non sono che il sogno di una parola che tenta di entrare nel cuore nascosto del mondo, di decifrarne l'alfabeto segreto.