06/09/2007

Enrique Vila-Matas

2007_09_06_030
Autore difficilmente catalogabile per la vasta e variegata produzione che spazia dai romanzi ("Bartleby e compagnia"), ai racconti ("Suicidi esemplari"), ai saggi ("Parigi non finisce mai"), ma che si distingue per l'eleganza e la classicità della scrittura accostata a contenuti originali, Vila-Matas ha dedicato molte delle sue opere al mestiere di scrivere, tema su cui si confronterà con il pubblico di Festivaletteratura.


L'evento 030 ha subito variazioni rispetto a quanto riportato sul programma. Originariamente era prevista la presenza di Daniele Del Giudice.
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Era prevista la presenza di Daniele del Giudice accanto a Enrique Vila-Matas, ma alla fine lo scrittore spagnolo si è trovato a gestire da solo l'incontro con il pubblico, nel cortile dell'Archivio di Stato. E se l'è cavata benissimo. Con grande ironia ha introdotto il discorso, scandendolo di aneddoti, decidendo di leggere un suo scritto di grande successo e di autocommentarsi. La sua è una riflessione originale e umoristica sull'importanza della scrittura. Risponde in vari modi, tra verità e metafora, alla domanda «perché si scrive» che perseguita ogni scrittore. Ride il pubblico di Vila-Matas, ad ascoltare il suo parlare provocatorio, le citazioni che sa inventare e trasformare poiché la letteratura, dice, «è espressione di massima libertà». Proprio per questo scrivere può essere un modo per «correggere la vita, fosse pure di una sola virgola al giorno». Nonostante l'assenza di Daniele Del Giudice, l'incontro con Enrique Vila-Matas non ha lasciato delusi i numerosi spettatori presenti. Argomento dell'incontro, «il mestiere di scrivere», è infatti di sicuro interesse per chiunque si sia affacciato, in maniera più o meno seria, alla pratica della scrittura. L'autore spagnolo si è infatti dedicato alla lettura commentata di uno dei suoi pezzi di maggior successo, "Scrivere e smettere di essere scrittore". Facciamo chiarezza, la domanda è una di quelle in grado di mettere paura fin da subito: «perché hai scelto di scrivere?». Nel suo breve discorso, Vila-Matas risponde in maniera allo stesso tempo seria e umoristica. Dice che scrive per essere letto, certo, ma anche perché quando ha visto il film "La Notte di Antonioni", Mastroianni faceva lo scrittore ed era sposato con una donna bellissima (Jeanne Moreau). Alternando aneddoti divertenti e riflessioni più seriose, Vila-Matas si avvicina sempre di più al nocciolo della questione: la scrittura come fuga dalla noia familiare, come un mestiere che implica solitudine, l'allontanarsi dalla gente e dal mondo per riuscire realmente a descriverli. La scrittura come discorso veramente libero, dove può succedere tutto e il contrario di tutto, scrivere come atto rivoluzionario, non controllato da nessun potere. La scrittura è quindi un dono supremo, conclude e precisa Vila-Matas, ma per riceverlo c'è un tributo da pagare: bisogna armarsi di coraggio e pazienza e rinunciare a una parte della propria vita vissuta. E bisogna puntare al massimo, sempre, anche se non si sarà mai pienamente soddisfatti dei risultati ottenuti. Ascoltando tutte queste riflessioni non possono non tornare in mente, richiamate indirettamente dalle parole di Vita-Matas, i pensieri di altri autori che si sono confrontati con questo tema. Penso al Piervittorio Tondelli che scriveva «lavorare con le parole e i racconti è un gioco divertente, ma anche faticoso, perché a ogni capoverso devi fare una scelta e non sai mai, fino alla fine, dove questa ti porterà»; a Raymond Carver quando affermava che «Ogni poesia è un atto di amore e di fede. Quello del poeta è un mestiere che rende così poco, sia finanziariamente sia in termini di fama e successo, che l'atto di scrivere una poesia dev'essere un atto che trova la propria giustificazione in se stesso e non mira a nessun altro scopo. Per volerlo fare, bisogna amarlo, quell'atto. In questo senso, allora, ogni poesia è una 'poesia d'amore'»; o al collettivo Wu Ming «nulla di ambiguo come vedete. Scrivo per far cadere la pioggia. Scrivo per bandire le guerre. Parole per scacciare i fantasmi, per riempire il ventre, per dichiarare senza paura ciò che si ama e si odia». Peccato non poterli avere tutti, seduti a una tavola rotonda, per un dibattito sul tema. Nell'ultima parte dell'incontro Vila-Matas si interroga anche sul perché alcuni scrittori, più o meno conosciuti, abbiano smesso di scrivere dopo un'opera prima di successo. Nessuna risposta universale, ovviamente, ma scommetterei che se fosse stato presente anche Del Giudice, che sulla ricerca di un personaggio simile ha incentrato "Lo stadio di Wimbledon", ci sarebbe stato da divertirsi.

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