07/09/2007
IL PIÙ IGNOTO DEGLI ISLAM
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Giuliana Morandini è un'esploratrice di culture. Se nei suoi primi romanzi ("Caffè specchi"; "Angelo a Berlino") la sua attenzione si orientava verso la composita scena mitteleuropea, con "Notte a Samarcanda" decide di affrontare l'interrogativo che più ci coinvolge oggi come occidentali: «Che cos'è l'Islam?». La Morandini cerca una risposta al confine, là dove l'Islam è più lontano da noi, nei territori dell'ex-URSS, in sospeso tra la Cina e l'Occidente. La incontra Gabriella Bonacchi, responsabile della sezione studi e ricerche della Fondazione Basso.
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I conflitti, più o meno recenti che siano, hanno una pluralità indefinita di lati dai quali possono essere indagati. C'è il saggista che indaga le pieghe delle realtà cercando richiami storici; il giornalista che racconta attraverso l'esperienza diretta e quella altrui; il poeta che con le parole scolpisce monumenti della sua realtà in grado di resistere al tempo; c'è l'osservatore attento, o il curioso attivo, che tentano di scavare, sapere e memorizzare per mettere insieme tutti i pezzi del reale. E poi c'è il romanziere che facendo incontrare quella realtà con i propri sogni, crea un piano di lettura altro, un'interpretazione indiretta ma più pregnante di ciò che scruta ed intuisce. E' proprio questo il caso di Giuliana Morandini, fine osservatrice e delicata scrittrice che ha incontrato il pubblico di Festivaletteratura venerdì mattina. L'occasione era quella di presentare il libro "Una notte a Samarcanda", ma il vero fulcro dell'evento è stata la discussione attorno al conflitto tra oriente ed occidente. Stavolta, tutto al femminile. Protagonista del romanzo è, infatti, una donna occidentale che attraversa il confine di questo conflitto con l'amore. Arrivata a Samarcanda con un uomo occidentale, che lei definisce 'importante', attento soltanto al petrolio, si scoprirà ad aiutare un medico arabo nel tentativo di raggiungere new York. Non la città, però, bensì quell'idea di occidentalità che essa rappresenta: la 'grande mela'. Ecco, dunque, tra burqa e danzatrici senza velo, profilarsi un nuovo orizzonte del conflitto: quello tutto interiore e personalissimo dello sguardo femminile.