07/09/2007

LABORATORIO DI RITRATTO


2007_09_07_091
Evento ripetuto


Workshop fotografico con Melina Mulas



Tutti noi desideriamo avere un ritratto di noi stessi: per vederci, per guardarci con gli occhi di qualcun altro, per scoprirci, per riconoscerci. Fare un ritratto vuol dire instaurare una relazione tra due persone attraverso un mezzo meccanico, la macchina fotografica, e la luce, stabilendo così un rapporto di fiducia, di reciprocità tra chi fotografa e chi si fa fotografare. Le persone coinvolte nel laboratorio verranno condotte da Melina Mulas nell'esplorazione dell'affascinante mondo della fotografia.

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Italiano
Parla piano Melina Mulas, con la discrezione e l'invisibilità che sono tipiche della fotografia. La ascoltiamo intorno ad un tavolo, sfogliando libri di grandi ritrattisti. Ci racconta la sua esperienza in India, dove per qualche anno ha fotografato i lama. Ci spiega che il ritratto, tema di questo laboratorio, è il momento in assoluto più intimo dell'attività fotografica, una sorta di relazione che si instaura tra il soggetto che scatta e l'oggetto da riprendere. Ci svela che alla fine ogni ritratto è anche una sorta di autoritratto. Lo capiamo bene quando poco dopo siamo tutti invitati a fotografarci reciprocamente. Apprendiamo qualche tecnica, l'imbarazzo si scioglie quando alcuni di noi diventano soggetti improvvisati di una mini-sessione ritrattistica. La luce e lo spazio del cortile della chiesetta Santa Maria della Vittoria diventano per un pomeriggio luoghi di una intimità collettiva, lì dove la macchina fotografica si fa specchio e ingranditore dell'anima. Incontrare Melina Mulas questo pomeriggio a Santa Maria della Vittoria è stato quasi come parlare fra amici delle proprie passioni. Un pugno di persone raccolte intorno ad un tavolo intente a sfogliare libri di fotografie, come quelle del grande Irving Penn, e a dialogare sull'argomento del ritratto con una fotografa del calibro di Melina Mulas. C'è un abisso di differenza fra le fotografie normali, anche quelle bellissime, e i ritratti. Raffaello, per esempio, è stato il primo a fare dei veri e propri ritratti fotografici, seppure abbia usato tavolozza e pennelli. Un ritratto è sempre bello, non è mai cattivo, non esprime mai un giudizio. È una sintesi. È autentico. Vuol dire che il fotografo è riuscito a tendere al punto giusto l'elastico che lo collega al soggetto, a rappresentare uno stato d'animo preciso, a mettere in condizione di rilassarsi la persona che si sta ritraendo. Il fotografo deve riuscire ad immortalare l'altro come vorrebbe egli stesso essere immortalato. Quando si concepisce e si realizza un ritratto, si capisce che non manca nulla, che di più non si riesce a dare. «Il ritratto classico», spiega Melina Mulas, «è morbido come la pittura, il vero colore del ritratto è il bianco e nero, che mette in risalto gli sguardi». Gli sguardi dei quali lei è andata alla ricerca in India, come testimonia il suo ultimo lavoro Il terzo occhio, in cui ha ritratto i Lama tibetani, prendendo spunto da Curtis, che ha fotografato gli Indiani d'America. Altri problemi da considerare per fare un buon ritratto sono la luce, meglio se naturale, e gli spazi, che vanno studiati con cura. Questi preziosi consigli li abbiamo applicati subito dopo, quando ci siamo messi all'opera... facile indovinare come è andata a finire: ci siamo ritrovati a farci fotografare tutti dalla Mulas, sperando di trovare le nostre foto sul suo sito Internet! E ora che il ritratto è stato fatto, il problema è finalmente risolto e si può tornare a casa tranquilli, sicuri di aver dato il massimo. Come soggetti, però.

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