10/09/2009
TUTTO IN UN PUNTO
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Se una notte d'inverno tutte le distanze dell'Universo raddoppiassero, chi se ne accorgerebbe? E se il movimento fosse un moto di forme e non di corpi? Il tempo è davvero necessario per misurare i cambiamenti o è solo l'astrazione e la sintesi delle relazioni tra gli oggetti? Se Calvino avesse sentito parlare Julian Barbour, fisico e ricercatore off rispetto ai circuiti accademici, avrebbe preso febbrilmente appunti per le sue "Cosmicomiche". Gli studi di Barbour perseguono infatti la rivoluzione concettuale innescata dalle teorie di Einstein e ancora non completamente conchiusa. Una rivoluzione dimezzata. Presenta l'autore di "La fine del tempo. La rivoluzione fisica prossima ventura" il fisico Matteo Polettini.
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«Semplicemente, io faccio fuori il tempo: tutto qui». La frase di Julian Barbour può sembrare una battuta di spirito, ma riassume pienamente la concezione del fisico britannico, autore di "La fine del tempo. La rivoluzione fisica prossima ventura", pubblicato in Italia da Einaudi, che per due ore stamattina ha esposto le sue teorie al numeroso pubblico del Teatro Bibiena. Secondo Barbour, la celebre battuta di Feymann sul tempo è da considerarsi errata: il tempo non è quello che succede quando non succede nient'altro. L'incontro, dedicato allo scrittore Italo Calvino, prende il titolo da un famoso racconto tratto da "Le Cosmicomiche", ma non ha niente a che vedere con la letteratura. Nel corso dello stesso, presentato dal fisico Matteo Polettini, Barbour, che dopo il dottorato in Germania ha scelto di proseguire le sue ricerche al di fuori del mondo accademico «per non essere preso per matto», ha fatto numerosi riferimenti a teorie scientifiche che trattano come soggetto il tempo. Barbour ha seguito un percorso storico che va dall'astronomo Tolomeo alla celebre relatività di Einstein e, servendosi di un modello da lui ribattezzato "Platonia", ha illustrato la sua visione dell'universo: l'universo tutto quanto, che in qualità di sistema ordinato è l'Orologio con la O maiuscola. Grande peso, per quanto riguarda le teorie del Novecento, hanno anche Boltzmann e l'entropia, con cui lo studioso indicò il tempo non come una strada a senso unico, bensì come un gruppo disordinato di indumenti stesi ad asciugare su un filo da bucato, filo da vedere come un punto che rappresenta il passato. A questo passato l'uomo può guardare da prospettive diverse, non andando a variare la percezione che egli ha di se stesso: proprio così si intuisce che il tempo non ha direzione.