12/09/2009

VENT'ANNI DOPO


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Adam Michnik e Viktor Erofeev hanno interpretato in diverso modo la propria opposizione al Socialismo Reale: il primo, polacco, fondatore e direttore del quotidiano "Gazeta Wyborcza", promosse nel proprio Paese la libera circolazione dei libri e appoggiò da subito Solidarność; mentre il secondo, figlio di un alto funzionario vicino a Stalin, venne espulso dall'Unione degli Scrittori Sovietici a causa della sua collaborazione con i dissidenti. A vent'anni dal crollo del muro di Berlino, gli autori tracceranno un bilancio dell'evento epocale e della lunga strada che la libertà di espressione deve ancora percorrere. Dialoga con loro il giornalista Enrico Franceschini. 

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Italiano
Russo
Polacco
Vent' anni dopo la caduta del muro di Berlino (1989), Adam Michnik e Victor Erofeev ci raccontano non solo le loro opinioni su un evento di portata epocale, ma anche l'intreccio delle loro personali esperienze ed emozioni, essendo legati da una profonda e lunga amicizia. Azzeccata la presenza coordinatrice del giornalista Enrico Franceschini, corrispondente del quotidiano "La Repubblica" dal 1990 al 1998, che il 25 Dicembre 1991 era insieme a Gorbaciov mentre dava le dimissioni. «Un russo e un polacco amici così a lungo non si erano mai visti», inizia Erofeev, raccontando il suo primo incontro con Adam Michnik, dopo che quest'ultimo uscì di prigione a Varsavia. Da quel momento, concordano, si sono incontrati ovunque. Erofeev si trovava a Colonia, in Germania, quando il muro crollò, e quell'evento suscitò in lui per la prima volta un sentimento di gioia e di orgoglio verso la sua patria russa. Michnik rammenta che a quel tempo in Polonia erano ancora tempi duri, mentre in Russia c'era ormai molta più libertà: nell'88 scrisse un articolo utilizzando citazioni provenienti dalla stampa russa, ma ne fu impedita la pubblicazione. In Polonia la parola «stalinismo» era ancora vietata. Dopo la scuola Michnik si era rifiutato di parlare il russo, lo imparò solo in seguito per poter leggere gli autori dissidenti, e suo maestro fu lo stesso Erofeev: il russo era ormai la lingua della libertà. Erofeev ricorda la caduta dell'Unione Sovietica come una liberazione da un'entità avversa all'umanità stessa e, con orgoglio, ci racconta come fu proprio la gente «a farla cadere».

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