13/09/2009
IL POTERE SULLA VITA
2009_09_13_182
La riflessione in corso nel nostro Paese su temi come il testamento biologico o la procreazione assistita ripropone - in modo rovesciato rispetto al passato - la questione della sovranità sulla vita. Mentre un tempo era prerogativa del signore decidere se mettere a morte o lasciare in vita un uomo o una donna, oggi il potere politico si trova a decidere tra il far vivere e il lasciar morire, tra il concedere di dare la vita o impedirlo. Secondo Stefano Rodotà, autore di "La vita e le regole" e "Perché laico", il ritorno a un potere politico che si fa potere di vita o biopotere è una nuova prevaricazione rispetto alle scelte etiche e alle libertà degli individui.
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Italiano
L'articolo 32 della Costituzione italiana recita: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana».
Stefano Rodotà ci invita a riflettere ricordandoci che il diritto non ha nulla a che fare con la vita. Tra '700 e '800 erano la religione, l'etica, la morale, il costume sociale che definivano la dignità di un uomo, e la trasgressione di queste convenzioni aveva effetti disastrosi. Se da un lato la nascita del diritto è stata una forma di liberazione, dall'altro è ormai evidente che può anche essere utilizzato come un importante strumento di controllo.
Oggi è, di fatto, il potere politico che decide se lasciare vivere o morire, impedendo alla società di disporre liberamente del proprio corpo. L'incapacità di autodeterminazione induce a trasgredire la legge, e obbliga le persone senza possibilità economiche ad interventi dolorosi: ciò conduce alla discriminazione sociale, in quanto solo chi dispone di mezzi economici adeguati ha la possibilità di andare all'estero per evitare di essere oggetto di violenza politica, basti pensare alla pratica dell'aborto.
Bisogna quindi creare una situazione dove l'uso del diritto non sia solo ben accolto, ma anche condizione necessaria per una scelta libera.
Stefano Rodotà ci invita a riflettere ricordandoci che il diritto non ha nulla a che fare con la vita. Tra '700 e '800 erano la religione, l'etica, la morale, il costume sociale che definivano la dignità di un uomo, e la trasgressione di queste convenzioni aveva effetti disastrosi. Se da un lato la nascita del diritto è stata una forma di liberazione, dall'altro è ormai evidente che può anche essere utilizzato come un importante strumento di controllo.
Oggi è, di fatto, il potere politico che decide se lasciare vivere o morire, impedendo alla società di disporre liberamente del proprio corpo. L'incapacità di autodeterminazione induce a trasgredire la legge, e obbliga le persone senza possibilità economiche ad interventi dolorosi: ciò conduce alla discriminazione sociale, in quanto solo chi dispone di mezzi economici adeguati ha la possibilità di andare all'estero per evitare di essere oggetto di violenza politica, basti pensare alla pratica dell'aborto.
Bisogna quindi creare una situazione dove l'uso del diritto non sia solo ben accolto, ma anche condizione necessaria per una scelta libera.