09.09.2010
SI PUÒ ANCORA SALVARE LA CULTURA?
2010_09_09_057
Il quadro è allarmante. Il sistema di produzione e di trasmissione della cultura che abbiamo conosciuto fino a qualche anno fa sembra fortemente compromesso: le istituzioni scolastiche e universitarie hanno perso prestigio sociale e qualità formativa; nuove narrazioni, ibride ma dominate dalle immagini, hanno ormai superato il romanzo; il mondo editoriale è in preda al panico di fronte alla sempre più imminente affermazione delle versioni digitali di libri e giornali. C'è chi, esaltato, in tutto questo legge l'affermazione di una cultura più libera e partecipata; c'è chi al contrario vede avverarsi le profezie più cupe di perdita della libertà e di dispersione della tradizione. Dispersi in questo periglioso mare, Franco Brevini ("Un cerino nel buio") e Piero Dorfles ("Il ritorno del dinosauro") riflettono sulle future sorti della cultura.
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Italiano
Per la cultura contemporanea non c'è salvezza, perché si salva soltanto chi è perduto. L'epoca contemporanea invece, tra gli strali costieri di edilizia folle e le massificanti trasmissioni televisive, cela un universo di accessi pubblici al convivium culturale in grado di superare la mediocrità dilagante. Franco Brevini e Piero Dorfles hanno portato sul palco del teatro Ariston il disagio comune nei confronti della società consumistica, difendendo nel corso dell'evento intitolato "Si può ancora salvare la cultura?" questa nuova forma di prudente speranza che, partendo dagli esecrati consumi, trova in essi la radice di una nuova forma di consapevolezza di sé.
Occorre ad ogni modo ripensare la politica nazionale nei confronti del sapere: pur non producendo denaro immediato, la cultura deve permettere alla società di ricostruire il meccanismo in cui si offre il ruolo a chi sa e non a chi vende. Il sapere trova linfa persino nel consumismo: più volte nel corso del suo intervento Brevini ha sottolineato che, di fronte ad ogni grande trasformazione culturale, si è diffusa tra gli ambienti intellettuali la sensazione di una sorta di fine del mondo. Occorre quindi rivoltare l'Apocalisse in un ottimistico attendismo.
Occorre ad ogni modo ripensare la politica nazionale nei confronti del sapere: pur non producendo denaro immediato, la cultura deve permettere alla società di ricostruire il meccanismo in cui si offre il ruolo a chi sa e non a chi vende. Il sapere trova linfa persino nel consumismo: più volte nel corso del suo intervento Brevini ha sottolineato che, di fronte ad ogni grande trasformazione culturale, si è diffusa tra gli ambienti intellettuali la sensazione di una sorta di fine del mondo. Occorre quindi rivoltare l'Apocalisse in un ottimistico attendismo.