06/09/2012

Péter Nádas con Francesco M. Cataluccio

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Definito da Susan Sontag «uno dei più importanti autori del ventesimo secolo», Péter Nàdas è uno degli scrittori ungheresi che godono di maggior prestigio internazionale. La memoria è l'asse portante lungo il quale si sviluppa la sua ricca produzione narrativa: l'esperienza del comunismo viene ripercorsa nei racconti di "La Bibbia" e in "Il minotauro", diventando autobiografia in "Fine di un romanzo familiare". Gli esperimenti narrativi di "Amore", un breve romanzo dai tratti psichedelici e tortuosi, conducono a "Storie parallele", il cui intreccio magistrale abbraccia i tumulti ungheresi e dell'est Europa del ventesimo secolo. Lo intervista lo scrittore Francesco M. Cataluccio.
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Italiano
Ungherese
«Nulla può essere assolto nella storia del Novecento. La responsabilità storica è la lezione del ventesimo secolo».
Con queste parole si fa conoscere al pubblico che l'ascolta una delle penne più autorevoli dell'est Europa: Péter Nàdas. La sua scrittura porta i segni della storia politica e sociale del suo paese: l'Ungheria. Una storia troppe volte violenta e cruda. Tanto che il primo ricordo del futuro scrittore, a due anni, è quello delle bombe che cadono su Budapest nel 1944. Francesco Cataluccio si prodiga nel racconto di un uomo - il nostro autore - che con le sue opere ha esorcizzato e affrontato diversi fantasmi. A partire dal tema della morte: uno spettro ricorrente nella storia del secolo scorso.
La necessità di esprimersi ha fatto di Nàvas uno scrittore moderno: sia nella serie di racconti "Il minotauro", che ne "Il libro dei ricordi" troviamo un gruppo di personaggi dinamici, che sono allo stesso tempo narrati e narratori di altre storie. Eppure ognuno di essi possiede il suo filo di Arianna ben saldo alla vita dello scrittore. Ognuno di essi è «una porta di un castello, dietro alla quale si nasconde un'altra porta.»
Questo è il segreto della sua letteratura: una ricerca approfondita nell'animo umano, sempre cosciente del limite non oltrepassabile dalla conoscenza.
«Ci sono storie di cui conosciamo la fine. Ce ne sono altre, come le nostra, che non sappiamo come andranno a finire».
L'individualità narrativa del Novecento viene progressivamente smembrata nelle sue opere attraverso la disillusione dell'io narratore: «l'io narrante è una finzione». Da qui il perché molti suoi libri presentano un punto di vista collettivo, capace nell'insieme di restituire l'integrità di ciò che intende rappresentare. Nàdas è anche la storia di una spiritualità vissuta quasi come una colpa in età infantile, che si è rivelata, maturando, una dimensione autentica, valida e necessaria per la sua esperienza di scrittore e di uomo. Nella sua scrittura tutti questi elementi si mescolano dando vita a ciascuna delle sue opere. E a chi gli imputa una scrittura che richiede attenzione e pazienza risponde «leggere è un lavoro. Se un libro non lo si capisce è meglio chiuderlo e lanciarlo. Magari con i miei eviterei, vista la mole».

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