07/09/2012
I NUMERI MENTONO
2012_09_07_065
«Il mondo non l'ho fatto io, e non soddisfa le mie equazioni»: è il primo dei cinque moniti ippocratici che Paul Wilmott ed Emanuel Derman vergano nel loro "Manifesto dei Modellizzatori Finanziari", sulla falsariga del "Manifesto del Partito Comunista". La deriva dei mercati nasce anche dall'eccessiva fiducia nei modelli matematici della finanza, ben oltre i loro limiti fisiologici, che spesso si accompagna ad una patente malafede da parte di operatori scellerati che guadagnano ricchi bonus garantendosi dai rischi eccessivi con i risparmi altrui. Da molti considerato il più acuto tra i QUANT ('quantitative analysist'), Paul Wilmott, pur credendo fermamente nell'utilità di quantificare il mondo, da parecchi anni leva la sua autorevole voce critica per denunciare gli abusi scientifici alla base della sua stessa disciplina - a volte profeticamente. Dialoga con lui il filosofo e giornalista Armando Massarenti.
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Qual è il tasso d'interesse all'inferno? Sulla falsariga del "Manifesto del Partito Comunista", Paul Wilmott è autore insieme a Emanuel Derman del semiserio "Manifesto dei Modelizzatori Finanziari", testo anti-ideologico sul fallimento dei modelli matematici adottati dal mondo finanziario. Matematico di formazione e professione, come lui stesso ama definirsi, Wilmott impartisce una vera lezione di metodo scientifico, prestandosi alle provocazioni dell'intervistatore Massarenti e dando sfoggio di una brillante capacità oratoria. Quando qualche tempo fa la Regina Elisabetta, ospite della prestigiosa London School of Economics, chiese ai presenti come mai nessuno era riuscito prevedere l'imminente crisi finanziaria, Wilmott già da anni illustrava i potenziali e drammatici rischi di strategie economiche totalmente arbitrarie, rese possibili dalla disponibilità di un capitale bancario superiore di ben cinque volte rispetto all'intero PIL mondiale. «Gli economisti non comprendono la natura umana», asserisce Wilmott. Ma la finanza e l'economia sono governate dai comportamenti umani, ragion per cui chi vi lavora dovrebbe essere dotato anche di pensiero creativo, o quantomeno di un sano buon senso che sappia distinguere tra modelli validi e modelli inefficienti. Un monito ad abbandonare le ideologie, evidentemente anche quelle accademiche, e guardare maggiormente alla vita reale e alle attività produttive concrete. Tra gli usi e gli abusi della matematica finanziaria, anche la necessità, spesso sentita dai governi nazionali, di approvare nuove leggi che aumentino il controllo statale sulle politiche finanziarie, senza tener conto del fatto che il rispetto di una quantità indefinita di norme non aumenta necessariamente il senso di responsabilità comune e collettivo. Un esempio? La recente introduzione in Gran Bretagna di una legge che obbliga gli istituti bancari a conoscere personalmente i propri clienti.«Conosci il tuo cliente», recita lo slogan. Peccato però che tale 'conoscenza diretta' passi attraverso la semplice presentazione del passaporto ogni volta che si deve usufruire di un servizio! Di fronte ad economisti apparentemente incompetenti e ottusi, eppure responsabili delle sorti di milioni di persone, quale allora la soluzione? E quale la formazione accademica ideale del perfetto esperto di finanza? Molto chiara la ricetta di Wilmott: calcolo, gestione d'impresa, marketing, psicologia, sociologia e... poca, pochissima economia!