08/09/2012

DOVE VA LA CULTURA EUROPEA?

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«È ingenuità riunire un congresso sullo 'spirito europeo' per poi consigliargli di espungere la politica dalla propria competenza. A meno che la cultura non pretenda di giungere al suo estremo della presa di coscienza per isolarsi e trovare nella propria giustificazione un alibi e un pretesto all'inazione». Gianfranco Contini seguì nel 1946 la prima edizione dei Rencontres internationales de Genève, nati per ridare vita al dialogo culturale in un'Europa smarrita e prostrata dopo la catastrofe del secondo conflitto mondiale. Intellettuali e filosofi come György Lukacs, Stephen Spender, Karl Jaspers, Georges Bernanos, Maurice Merleau-Ponty intervennero tra gli altri a quel primo appuntamento. Contini scrisse di quelle giornate un magistrale resoconto, pubblicato con il titolo Dove va la cultura europea?. In occasione del centenario della nascita del grande filologo, due eminenti intellettuali del nostro tempo rispondono a quella stessa domanda di fronte alla crisi che attraversa oggi il nostro continente. Conduce l'incontro Daniele Giglioli, autore del saggio che accompagna la nuova edizione del libretto continiano.
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Zygmunt Bauman e Cesare Segre sono di quelle figure che non richiedono presentazioni. Il pretesto per averli insieme a Festivaletteratura viene dalla recente pubblicazione di un volumetto ("Dove va la cultura europea?", Quodlibet 2012) che raccoglie la relazione di Gianfranco Contini, «critico [...] nelle spoglie del cronista», sulla prima "Rencontre internationale" di Ginevra. La data (il 1946) è distante nel tempo, ma le questioni affrontate dagli intellettuali europei riuniti in convegno sono tutt'oggi di grande attualità, a partire dalla presa di coscienza della perdita della centralità dell'Europa rispetto al mondo. Se è vero che per secoli l'idea di Europa, in parte per la sua stessa natura, è stata profondamente interconnessa al concetto di cultura, è altresì difficile fornire una definizione di 'cultura' valida tanto per il 1946 in cui scrive Contini che per i giorni nostri. Su questo argomento, sostiene Cesare Segre, un discorso può essere solo comparativo, di confronto. Gianfranco Contini scrive nel secondo dopoguerra, in un clima in cui era ancora possibile abbozzare un sistema dei saperi, collegarlo con il sistema politico e inserire il tutto in un pensiero filosofico. Insomma, ancora reggeva quel sistema di idee sviluppatosi a partire dall'illuminismo e per il quale lui, intellettuale colto e di sinistra ma nient'affatto comunista, poteva prendere seriamente in considerazione il pensiero ideologico di Lukacs (presente anch'egli a Ginevra) e comprenderne le strutture, pur non condividendolo affatto. Oggi una simile sistemazione ideale delle forze in gioco non è più possibile: in una «società liquida» priva di punti fermi, qualsiasi osservazione è valida o non è valida in sé, ma non è riferibile ad una struttura di pensiero che sia in astratto valida. Fra quel 1946 e oggi, sostiene Zygmunt Bauman, è intercorso il passaggio da una società di produttori ad una società di consumatori; per la cultura, ciò ha significato un mutamento dal mecenatismo dei potenti (lo stato, la politica, l'amministrazione) all'egida del mercato. Per l'appunto, se al tempo di Contini 'cultura' era la forza di soddisfare i bisogni latenti negli esseri umani e 'aprire gli occhi' (secondo l'idea illuministica) alla gente comune, oggi essa è animata soprattutto dalla novità e non ha più alcunché da nobilitare né alcuna persona da illuminare. Da un modello fondato sull'imparare si è giunti al punto in cui dimenticare è almeno altrettanto importante, poiché in un «tempo affrettato» come quello contemporaneo, in cui la cultura serve soprattutto a «creare nuovi bisogni» (Bauman suggerisce l'esempio di facebook) è indispensabile sgombrare la mente per fare spazio a ciò che verrà subito dopo. Resta, di fatto, la difficoltà a rispondere alla domanda sul futuro della cultura, europea in particolare. «Prima di venire qui a Mantova - afferma Bauman - ho cercato su google la voce 'european culture': sono usciti novecentoquarantatre milioni di risultati». In gran parte deludenti, in effetti: vestiti, moda, addirittura un pop-up che annuncia: «cultura scontata del 70%», qualsiasi cosa possa voler dire. Cita una recente ricerca comparata, Zygmunt Bauman, per dimostrare che la percezione diffusa fra gli europei in genere è che una cultura comune europea non esista, che non si possa neppure parlare di una cultura europea distinta rispetto alle altre culture occidentali (che in fondo dalla Vecchia Europa traggono l'origine e la prima ispirazione). Ma se l'idea di una cultura europea unificata è stata ormai abbandonata dalla maggior parte degli intellettuali, Bauman ritiene che il futuro dell'Europa sia nello sviluppo di una cultura dell'alterità tale per cui quella diversità che è il principale valore della cultura si traduca nella possibilità di vivere con lo straniero, con l'altro da sé. Non si tratta di contaminazione: «se fai un cocktail non lo chiami 'contaminazione', non pensi di starlo peggiorando con quello che aggiungi». Oggi che il potere è libero dalla politica (nazionale), il ruolo dell'intellettuale europeo è quantomai critico. Si parla sovente della necessità di ricostruzione morale, e sul problema del futuro della moralità tanto Segre quanto Bauman concordano. Nell'attuale crisi, quanto vale per l'economia vale in un certo modo anche per la cultura: le perdite sono state nazionalizzate, i profitti sono stati privatizzati. «Se non facciamo qualcosa - conclude Bauman - rischiamo davvero di morire».

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