08/09/2012

L'UOMO CHE SCOPRÌ I PINK FLOYD

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La storia del Rock passa tanto attraverso i nomi di artisti come i Pink Floyd e Nick Drake, quanto attraverso l'orecchio e le intuizioni di chi ha scoperto il loro talento, vale a dire il leggendario produttore discografico Joe Boyd. Nel suo Le biciclette bianche, accolto da Brian Eno come «il miglior libro sul mondo della musica degli ultimi anni», Boyd racconta la sua attività di promozione in una città (Londra) e in un periodo (gli anni Sessanta) che, ben oltre l'aneddotica, continuano a rappresentare un punto di riferimento per la musica contemporanea. Lo incontra il critico musicale Riccardo Bertoncelli (Se una notte d'inverno un musicista e 1965-66, la nascita del nuovo rock).

L'evento 138 ha subito variazioni rispetto a quanto riportato sul programma. Originariamente il suo svolgimento era previsto presso la casa del Mantegna.
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Quando vedo mia madre di spalle con quella felpa è sempre un colpo al cuore. Il prisma triangolare che troneggia sulla schiena è ormai consunto da quarant'anni di uso e abuso. La felpa, insieme ai vinili, sono tutto ciò che di materiale ho degli anni dei Pink Floyd, che il feticismo maniacale di mia madre ha mantenuto inossidabili. Erano gli anni '60. Un'epoca ormai paleolitica per le nuove generazioni. Un'epoca di cui, purtroppo, ho solo sentito parlare. I miei genitori mantengono vivi i loro ricordi attraverso me e mia sorella. E una strana patina cala sui loro occhi, seguita dalla solita frase-fossile: «erano bei tempi». Parlando del passato, soprattutto di un passato d'oro, inevitabilmente una nostalgia invadente affiora. Una nostalgia che non è mancata neanche oggi durante l'incontro con Joe Boyd, produttore del primo singolo dei Pink Floyd, "Arnold Layne", che presentava per l'occasione il suo libro "Le biciclette bianche", almanacco autobiografico della musica rock, blues, jazz, r'n'b, folk degli anni Sessanta. La naturalezza con cui Sir Boyd raccontava le sue esperienze all'UFO Club con Syd Barret, le jam sessions con Jimi Hendrix e l'amicizia col tormentato Nick Drake faceva sorridere il pubblico, intimamente invidioso. Nomi come Bob Dylan, John Coltrane, Thelonious Monk, The Stooges affioravano con estrema disinvoltura sulle labbra di Joe Boyd, mentre un pubblico sempre più emozionato non riusciva a tenere nascosta la pelle d'oca. La presenza e le intelligenti domande di Riccardo Bertoncelli, considerato tra i più grandi critici musicali italiani di musica pop e rock, soprattutto di quegli anni, catapultano più di cento persone indietro nel tempo di quarantacinque anni, in una dimensione in cui parole come 'freak' o 'stoned' non risultano anacronistiche. Una dimensione senza età, in cui il giovane ventenne può scambiarsi le b-sides col più incallito dei nostalgici. Una dimensione in cui la musica senza tempo e universale dei Pink Floyd ti risuona nelle orecchie, i martelli sfilano in parate militari davanti ai tuoi occhi e uomini in giacca e cravatta prendono fuoco in mezzo alla strada. Il risveglio da questo sogno ad occhi aperto è duro. Ma si sa, «time is a monster».

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