08/09/2012

LA NUOVA STAGIONE DELLA COOPERAZIONE

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Risolvere la crisi dell'economia secondo i principi che l'hanno governata fino ad oggi rischia di avvelenare ulteriormente la situazione. Secondo Stefano Zamagni, docente di Economia Politica all'Università di Bologna e autore di Per un'economia a misura di persona, occorre riconciliare l'economia con le altre sfere della vita dell'uomo. Un'economia che ritrovi al suo interno le istanze di ridistribuzione e di equità, che riporti al lavoro la produzione della ricchezza e che risponda alle regole della democrazia politica (e non viceversa), si può trasformare in un'economia civile, in cui la cooperazione, insieme a non profit, beni comuni, gratuità, può puntare ad acquisire un ruolo preminente. In occasione dell'anno internazionale della cooperazione.

Performance iniziale di Pantacon promossa dal tavolo di cooperazione della Camera di Commercio di Mantova. L'evento 147 ha subito variazioni rispetto a quanto riportato sul programma. Originariamente non era prevista la presenza di Pietro Reitano.
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Una nuova stagione dell'economia, è questo che ci si può auspicare per uscire dalla crisi, o quantomeno trovare modelli alternativi a quelli attualmente adottati e che sono di certo responsabili della situazione in cui ci troviamo. Un'economia che sia a misura di persona, proprio come il titolo del libro di Stefano Zamagni, che cerchi di basarsi su principi maggiormente etici e morali, convivendo certo con l'ormai 'classica' economia liberista. Non insomma due alternative che si auto-escludono, ma che anzi possono, devono forse, trovare il loro spazio parallelamente. La differenza tra questi due tipi di sistemi economici, ha spiegato Zamagni, è fondamentalmente nei principi che attuano. Entrambe si basano sia sul principio di scambio di equivalente, che presuppone un compravendita tra qualcosa dello stesso valore, che sia moneta nei confronti di un bene fisico o prodotto con prodotto, sia su quello di redistribuzione della ricchezza, che richiede invece una divisione del reddito non eccessivamente squilibrata tra pochi ricchi e una base ampissima di poveri. Solo l'economia civile, però, attua il principio di reciprocità: il dare senza pretendere e il prendere senza togliere. Luogo d'elezione di questo principio è (o quantomeno dovrebbe essere) la famiglia, un fratello che aiuta la sorella anche senza che lei lo chieda, non volendo nulla in cambio se non l'aspettarsi, a parti invertite, lo stesso trattamento. Un principio indubbiamente più etico che economico, ma che non per questo non è adottabile in ambiti diversi. Non esiste, infatti, un modello economico che vada bene indistintamente in qualsiasi Paese, dipende dalle specificità di ogni popolazione, dalla sua cultura o dai suoi retaggi culturali: sono questi alcuni degli elementi che influenzano il successo o l'insuccesso delle diverse teorie. Ed è questo il motivo per cui, senza reciprocità, ci possono essere società ricche, ma non felici. E se è vero che tra gli indicatori con cui si valuta un Paese quello della felicità dei propri cittadini non è ancora stato adeguatamente preso in considerazione, è probabile che questo avvenga nei prossimi anni. Meglio premunirsi per tempo, insomma. Non unicamente l'indice di felicità, ma anche quello di libertà, non inteso solo nell'ambito puramente liberistico di non avere restrizioni, ma anche in altri due ambiti, da un lato la libertà di poter fare, di poter seguire le proprie vocazioni, dall'altro la 'libertà per', quella di agire in favore di qualcuno. Per questo è importante affiancare a istituzioni con fine prettamente capitalistico anche realtà come quelle delle cooperative, che portano, nel territorio in cui nascono, ad un aumento di democrazia e libertà di scelta, diminuendo contemporaneamente il tasso di diseguaglianza. Rilanciando questo tipo di cooperazione si potrebbe realizzare un'economia più etica e civile. Se non sarà il modo che da solo ci permetterà di uscire della crisi, di sicuro male non farà. 

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