05/09/2013

LE PAROLE SONO LUCE

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«La letteratura non parla, dice. Dice di quel mondo dal quale ciascuno di noi avverte, almeno una volta nella vita, d'essere in perpetuo esilio. Sarei tentato di dire che un bel romanzo è sempre e nascostamente una teologia, che la sua lingua è sempre e nascostamente una liturgia, discorso sul trascendente, sulle forme eterne del vivere. Il grande scrittore è anche, fosse solo in alcune pagine e in brevi frasi, un invasato: colui che, persino rifiutandolo, si fa vaso e contenitore del nostro comune passato e, anche, del nostro ancora inavvertito domani». Una lezione dell'autore di "Morte di un magnate americano".
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Perché le parole che utilizziamo per indicare determinate cose sono quelle e non altre? Qual è la corrispondenza che esiste fra gli oggetti e i loro nomi? La risposta va ricercata alle origini comuni delle lingue indoeuropee.
Ad esempio il termine Dio, deriva dal latino Deus, prima ancora dal greco Theos, che trova radice comune nel sanscrito Dyàuh, 'cielo che brilla'. Se poi ci riflettiamo un attimo, il verbo latino 'Dicere' ha la stessa radice semantica. Ecco che allora la parola diventa luce, rischiara il significato, illumina l'indubbia corrispondenza che c'è fra le parole e le cose. Guidati da Hans Tuzzi, in un vortice di citazioni e rimandi letterari in cui si salta dalla Bibbia a Proust, da Leopardi a Joubert, scopriamo il senso della parola. Parola, elemento insostituibile della comunicazione. Parola, strumento sublime della poesia. Spesso ne sottovalutiamo il valore: grazie a questa strana successione di simboli astratti, possiamo parlare con persone lontane, nello spazio e nel tempo, diffondere idee e pensieri, raccontare, suscitare sensazioni e sentimenti. Con le parole possiamo esprimere dei significati, e «dire è sempre far brillare parole». L'uso letterario della parola, poi, evoca l'arte, che rende i nostri pensieri immortali.
Ma oltre al grande dono della scrittura, la parola ci ha fatto anche il grande dono della lettura, grazie alla quale possiamo aprire le nostre menti ad altre conoscenze, ad altri pensieri, ad esperienze appartenute ad altri uomini e ad altri tempi, che non avremmo avuto modo di conoscere altrimenti. Il senso profondo della parola è rendere presente ciò che è assente.

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