05/09/2013

Antonella Anedda con Nella Roveri

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Antonella Anedda, di origini sarde, laureata in Storia dell'Arte moderna, insegna all'Università di Lugano Letteratura Italiana dell'Otto e Novecento. Dopo un esordio in prosa, approda alla lirica con "Residenze invernali", a cui fanno seguito "Notti di pace occidentale", che vince il Montale nel 2000, e altre sillogi fino alla più recente "Salva con nome", premio Viareggio-Rèpaci 2012. Traduzioni e saggi si alternano al lavoro poetico che sonda le profonde relazioni tra gli elementi naturali e le azioni umane nella loro ritualità, giungendo ad una intensa riflessione sulla poesia e sul senso della scrittura. «Se devo scrivere poesie ora che invecchio/ voglio vederle scorrere, perdersi in altri corpi/ prendere vita e nel frattempo splendere sulle cose vicine». La incontra Nella Roveri.
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L'atmosfera è calma e accogliente nella sagrestia di San Barnaba: è lì che, protetti dalle candide pareti screpolate, gli spettatori si raccolgono per incontrare Antonella Anedda, poetessa di origini sarde i cui interessi spaziano tra prosa, poesia, arte e traduzione, come sottolinea la sua interlocutrice Nella Roveri. «Hai detto bene: questi ambiti nel mio lavoro s'intrecciano. Poesia e prosa si affiancano, mentre spesso considero le immagini come un testo a fronte da tradurre in scrittura. Scrivendo seguo un andamento pittorico, e a volte è come se le parole si dovessero raggrumare per poi distendersi su larghi piani di colore; altre volte le uso per fare una sorta di 'dripping', alla maniera di Pollock. Spesso seguo delle esigenze legate allo sguardo: scrivo partendo da dei dettagli». A questo interesse per i dettagli si potrebbe ricollegare anche la passione dell'autrice per gli insetti: «Sono un'amante dell'insetto (tranne quando pizzica): la sua apparente insignificanza e al contempo il ruolo fondamentale che ha sulla terra…! C'è un bel libro di Charles Darwin, che sto studiando, in cui lui parla dei lombrichi. Osservando che col loro lavoro riescono a modificare le strutture delle rovine romane afferma che forse un giorno erediteranno la terra. È una riflessione che potrebbe diventare un'allegoria del nostro ruolo».
Nella Roveri l'interroga poi a proposito di un brano tratto dal suo libro "La luce delle cose", in cui Antonella Anedda afferma di non amare esprimersi a voce alta su un dipinto o un libro. «Parlare in pubblico e dire le proprie opinioni è un'arte un po' da spogliarellisti» (e ride). «Col tempo s'impara a gestire questo tipo di reticenze e ad andare nel mondo».
E quale rapporto vi è tra poesia e pensiero, secondo Antonella Anedda? «Non credo possa esistere una poesia priva di pensiero. C'è sempre un pensare… ma questi sono termini da usare con attenzione. Credo nella necessità di una struttura della poesia: dev'esserci un'architettura, e l'architettura è sempre pensata. Certo, il pensiero non deve soverchiare la poesia, ma è necessario un passaggio continuo tra l'uno e l'altra».
Intervallate tra le riflessioni dell'autrice, alcune misurate letture delle sue poesie, che assumono una dimensione nuova grazie agli interventi musicali di Marco Remondini. «Sono contenta quando il lettore ritrova qualcosa che ha vissuto in quello che ho scritto, quando riesco a mettere qualcosa in comune con lui». E mentre musica e voce risuonano nella sagrestia sembra davvero che gli spettatori siano pronti ad accogliere (a 'tradurre' - parola cara alla poetessa - nella lingua della loro interiorità) le poesie di Antonella Anedda.

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