05/09/2013

DA GIANNI BRERA AI SENZABRERA. Evoluzione/involuzione del linguaggio sportivo

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La lezione giornalistico-letteraria di un maestro che non ha lasciato allievi e che viene studiato, a vent'anni dalla scomparsa, con gli strumenti critici e filologici che spettano ai classici. Un confronto tra Franco Contorbia, docente di Letteratura italiana moderna e contemporanea all'Università di Genova, e Gigi Garanzini, commentatore sportivo in radio e televisione, nonché autore di molti volumi dedicati al calcio. Conduce il giornalista Adalberto Scemma.
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Italiano
«Gianni Brera è un vero 'classico', sta al giornalismo italiano così come Verdi sta all'Opera» sentenzia Gigi Garanzini, commentatore sportivo in radio e televisione, nonché autore di molti volumi dedicati al calcio. Per questo motivo, Franco Contorbia, docente di Letteratura italiana moderna e contemporanea all'Università di Genova, sostiene che vada affrontato come un autore classico: con precisione filologica ed esattezza documentativa. A condurre l'evento vi è la sagacia del giornalista Adalberto Scemma. 

I tre descrivono un ritratto molto vivido di Brera, raccontano la sua straordinaria sapienza tecnica che lo rese forse il giornalista più competente di calcio del novecento, nonché il colore con cui soleva tingere la sua prosa, l'indimenticabile impasto linguistico ricco di inventiva: se da una parte l'attenzione alla decorazione derivava da influenze d'altri tempi, era epigone dannunziana, dall'altra la sua scrittura era significativamente innovativa, fertile e inimitabile. Il suo contributo fu tanto fecondo che rese Brera autore di numerosi neologismi che reinventarono il gergo calcistico italiano, molti dei quali infatti tuttora sono indispensabili nella cronaca sportiva, come ad esempio "contropiede". Lasciò dunque il segno vividamente nell'immaginario collettivo: fu lui a coniare per Berlusconi l'epiteto di 'Cavaliere'. 

Inimitabile, il suo stile si diffuse soprattutto tra i contemporanei: assomigliava - sostiene Garanzini - ad un fratello maggiore per gli altri giornalisti di allora. Brillò soprattuto all'interno della redazione de "Il Giorno" degli anni sessanta, di cui lui stesso costruì la sezione sportiva. I toni si fanno nostalgici quando la conversazione rievoca i mondiali del 1982, il cui ricordo è indissolubilmente legato all'animato fervore e la competizione dei giornalisti di quel tempo, alle voci di Brera, ma anche di Giovanni Arpino, Oreste Del Buono. La sua animosità lo ha consegnato alla storia per gli scambi di battute ispide e frecciatine offensive con i giornalisti del tempo, che sembrava guardare in cagnesco con le sue volgari dichiarazioni.
Ciò nonostante, gli occhi si colmano di nostalgia per quella forza espressiva, quell'innovazione e il coraggio di quel giornalismo somigliante ad un paradiso perduto. Come potrebbe essere possibile eguagliare tale maestro che si definiva "artigiano del polpastrello", se l'appassionato ticchettio delle Olivetti ha cessato di pulsare vivo nelle redazioni?

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