06/09/2013

UN'ETICA DELLA PLURALITÀ. Un ricordo di Pier Cesare Bori

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«Accettiamo con umiltà che Dio vuole ed ha voluto la pluralità. Se Lui avesse voluto, avrebbe fatto un'unica religione, ma non l'ha fatto». Docente di Storia del Cristianesimo, studioso di Etica, lettore di Tolstoj, attento e appassionato cultore delle lingue, Pier Cesare Bori ha sempre creduto nella pluralità delle vie come strada maestra per la ricerca della verità. Persona di una religiosità autonoma e non riconducibile a una Chiesa o a una fede particolari, difensore della tolleranza, lottatore strenuo per i diritti dell'uomo, fautore di una ricomposizione dei rapporti fra etica e politica, Bori ha voluto essere, prima di tutto, un insegnante, uno che indicava la via ai giovani, camminando davanti a loro e insieme a loro. A ripercorrere la vita e la ricerca spirituale del filosofo recentemente scomparso, sono due amici di Pier Cesare Bori: il sacerdote Giovanni Nicolini e lo storico Gianni Sofri.
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Gandhi diceva che «le religioni sono come i rami di uno stesso albero». Pier Cesare Bori nella sua vita ha incarnato perfettamente questa visione. Nei suoi studi, nel suo essere curioso per tutto quello che è altro, nella sua ricerca continua di ogni esperienza religiosa. Perché ogni scoperta arricchisce. Ricercatore appassionato e pieno di ironia, la sua figura viene ricordata con affetto e gioia da Giovanni Sofri e don Giovanni Nicolini.
Vite che si incrociano, che alimentano esperienze e sensibilità. Continuamente. Perché questa era l'indole di Bori. Mettere in comunicazione persone, formare circoli di pensiero, di culture diverse. Creare reti di amicizie. E studiare con passione anche le lingue, perché è necessario conoscere le espressioni originali per poter capire veramente un popolo e la sua cultura. In tutti questi modi Bori diventa un protagonista assoluto della vita religiosa, nonostante mantenga sempre la sua autonomia. E soprattutto la sua voglia di proseguire sempre "al di là", di andare avanti. Perché la conoscenza, e quindi la vita, è una strada, un itinerario, un volo che porta sempre verso un orizzonte infinito.
La capacità intellettuale straordinaria di Bori trovò davvero un ottimo terreno nel periodo più felice per la Chiesa, quello del Concilio Vaticano II. Occasione per discutere divenne anche semplicemente il trovarsi attorno ad una tavola. Un entusiasmo e un fiorire di pensieri e di idee che purtroppo da troppo tempo manca anche nel vivere civile. "I veri maestri sono quelli che rimangono anche discepoli, conservando la curiosità". Questo dovrebbe sempre essere l'atteggiamento da tenere in tutti gli ambiti. Senza confini geografici, senza chiusure mentali, senza discriminazioni di razza, non condannando mai nessuno. A quelli che lo hanno conosciuto rimane proprio questo immenso ricordo. Noi, che purtroppo lo scopriamo solo ora, possiamo riferirci a quello che ha scritto e al suo esempio vivo. Al ponte che ha gettato tra le culture, con particolare riferimento alla tolleranza della cultura indiana. Gandhi e Tolstoj. E un ultimo grande insegnamento che viene dritto dal mondo carcerario. «Anche la persona più ferita è ancora dentro nelle possibilità dello spirito; diamo a queste persone la forza per essere liberate verso un orizzonte che già esiste, ma che deve solo essere riscoperto». Si può essere più grandi dei limiti della libertà. Arrampicati sul filo della parola, si può spiccare il volo per raggiungere la libertà dello spirito. E qui sta la vera felicità.

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