06/09/2014

LA SOLITUDINE DI MARIA

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«Ho scritto un romanzo e non un saggio polemico, e il romanzo è secondo me uno spazio assolutamente laico». In questo modo Colm Tòibìn risponde alle critiche che hanno accompagnato la pubblicazione e la messa in scena a Broadway di Il testamento di Maria. Se nelle sue opere lo scrittore irlandese torna più volte sui sentimenti contrastanti in cui si giocano i rapporti familiari (Madri e figli, La famiglia vuota), nel disegnare il personaggio di Maria dopo la morte di Gesù rovescia l'immagine mite e indulgente della tradizione cattolica: Tòibìn dà voce a una madre ferita, umiliata, piena di risentimento e indignazione per la doppiezza e la violenza che ha visto manifestarsi, annientata dall'orrore del martirio del figlio, di cui non riesce a ritrovare il senso, e desiderosa soltanto di isolarsi. Dialoga con Tòibìn il giornalista Ranieri Polese.
 Con il contributo di Ireland Literature Exchange
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Un vero e proprio testamento. Un monologo teatrale. Questo è "La solitudine di Maria" di Colm Toibin, scrittore irlandese. Perché per l'autore la figura di Maria non è solo quella 'divinizzata' dai cattolici, ma una persona vera. Una donna vera che alla fine dei suoi anni traccia un bilancio della propria esistenza e giudica molto umanamente tutto quello che le è accaduto intorno. Ispirazione fondamentale per Toibin è stata l'arte italiana. Le molte opere d'arte rinascimentali che in Italia hanno splendidamente descritto sia il lato sacro della Madonna che quello mondano. L'Assunzione di Tiziano da una parte e la Crocifissione di Tintoretto dall'altra. La morte della Vergine di Caravaggio (che usò una prostituta trovata morta come modello) e persino la madre di Gesù ai piedi della croce nel film di Pasolini "Vangelo secondo Matteo". Da sempre questa figura ha affascinato la gente, ha attirato devozione e preghiere. Perché, nonostante fosse "Regina del cielo", era anche umana, aveva sofferto come una persona normale e sapeva cosa significava. Nei "Vangeli" sinottici, Maria non c'è ai piedi della croce. In Giovanni invece è presente. Piace pensare a Toibin che l'influsso delle tragedie greche, dove sono sempre presenti grandi figure di donne, abbia ispirato anche l'autore sacro. Sullo sfondo, la vita di un piccolo paese in un mondo che stava cambiando. L'impero romano avanzava, si aprivano orizzonti nuovi, influenze nuove, prospettive diverse da quelle di un piccolo borgo della Palestina. In qualche modo lo shock di questo mondo che cambiava ha investito anche Maria: Gesù che esce di casa, diventa 'famoso', è il protagonista delle chiacchiere dei vicini, dell'attenzione dei sacerdoti e dei romani. In Palestina come ad Efeso, ultima dimora della madre di Dio. Spazio quindi ai dubbi, alle incertezze di una madre di fronte agli eventi che l'hanno coinvolta. Le nozze di Cana, la resurrezione di Lazzaro, la morte, la resurrezione e il movimento di seguaci che si stava formando piano piano attorno agli apostoli. Dubbi sui ricordi, perplessità sui racconti che si stavano accumulando sulla storia del proprio figlio e che stavano per venire scritti da Marco evangelista. Ricordando anche l'esperienza di un altro grande personaggio di ispirazione per Toibin, Henry James, risulta chiaro che comunque bisogna sempre uscire dalla propria realtà per fare esperienza. In un senso molto umano, anche Gesù uscì di casa e immaginiamo Maria reagire come un genitore qualsiasi. Non guardiamo subito il 'dopo', la dimensione messianica e il messaggio salvifico della vita di Gesù. Andiamo nel particolare umano, nel dettaglio: cosa avrà provato Maria, una donna vedova e analfabeta, di fronte a questo? Nella tradizione la Madonna è madre. Anche nel libro dello scrittore irlandese è così, è profondamente così, umanamente così. Un rapporto madre-figlio che non si può rompere, un vincolo di sangue molto più forte di tutto il resto. Questo è il 'particolare' da mettere in evidenza, proprio perché elemento fondamentale della realtà.

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