07/09/2002

Mo Yan con Bruno Gambarotta


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Ex-colonnello dell'esercito cinese, Mo Yan si è imposto all'attenzione del pubblico internazionale con "Sorgo Rosso", storia epica ambientata nella Cina tra gli anni Venti e Quaranta, da cui è stato tratto anche un film di successo. Con il suo ultimo romanzo, "Grande seno fianchi larghi", censurato in patria per l'esplicita crudezza e per i toni corrosivi e grotteschi, Mo Yan è tornato al grande affresco rurale e mitologico. Lo incontra Bruno Gambarotta.

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Bruno Gambarotta intervista Mo Yan: «un mio mito», sono le sue parole. Mo Yan innanzitutto è uno pseudonimo: un bambino troppo loquace è una mezza disgrazia nella Cina di Mao, e sua madre lo pregava sempre di fingersi muto, da lì 'Mo Yan', che significa letteralmente 'non parlo'. Una vita da romanzo popolare, espulso da scuola a dodici anni si ritrova a portare le mucche al pascolo e comincia a fantasticare sui racconti dello zio, sulla vita degli scrittori che «mangiano ravioli tre volte al giorno». L'esercito - versione cinese del seminario per i figli dei contadini poveri - gli fornisce un'educazione universitaria. Una vita che diventa libro. Robusti e intensi romanzi familiari. Forti figure di donne, personaggi sopra le righe in una commistione di realtà e magia che può far pensare a grandi opere latino-americane. Una vita di successi da "Sorgo Rosso" al più recente "Grande seno, fianchi larghi", censurato in patria e ritirato dagli scaffali («gira moltissimo clandestinamente, ma io non ci guadagno più nulla») per la sua caustica vivisezione dei mali della società cinese, tra l'obbligo del figlio unico e l'affannosa ricerca dell'erede maschio a tutti i costi, solo per citarne uno. Un pubblico numerosissimo rilancia domande a tutto campo e riceve pronte risposte intrise di calma e ironia. Finale oltre tempo massimo e ressa per gli autografi.

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