08/09/2002

LA LETTERATURA AMERICANA DOPO L'11 SETTEMBRE


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«In qualche modo, nel giorno del peggior disastro nella storia di New York, c'era la sensazione che l'agonia fosse solo appena cominciata»: dalla riflessione di Pete Hamill, pubblicata sul "New Yorker" il 13 settembre è passato quasi un anno. E gli scrittori? Che ruolo hanno di fronte a una tragedia così grande? E come cambia il loro immaginario o il modo di raccontare? Insieme a Pete Hamill, uno dei più noti giornalisti americani, autore di "Neve in agosto" e "La vita, dopo - Cronache da New York" ne parla lo scrittore e giornalista Gabriele Romagnoli. 

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L'argomento del dialogo, introdotto dal giornalista Gabriele Romagnoli, "La letteratura americana dopo l'11 settembre", è stato subito accantonato da Hamill: «una letteratura americana capace di raccontare i fatti dell'11 settembre l'avremo solamente fra 5 o 10 anni, tanto impiega la letteratura a digerire un evento di queste dimensioni». Adesso rimane il giornalismo, quello scritto, che nell'immediatezza dell'evento ha mantenuto uno sguardo sobrio ed attento ad evitare sciacallaggi, e quello televisivo, che rischia con la riproposizione dell'evento, depurato dagli effetti più drammatici, di creare nello spettatore l'errata impressione che l'11 settembre sia tutto lì, in quell'aereo che sta per colpire un grattacielo. Rimane infine l'atteggiamento della popolazione di New York, che ad Hamill appare più educata, più cosciente, come se l'11 settembre avesse restituito a tutti il senso delle proporzioni. La minaccia ora viene dall'esterno, ma da chi e per quale ragione ancora non è chiaro. I terroristi infatti non hanno lasciato note scritte. Così una reale comprensione di quello che è successo è possibile solo con un lavoro di immaginazione, nel raccontare storie individuali, la vita delle persone, ma qui si ritorna alla letteratura, fra 5 o 10 anni.

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