07/09/2003

Arundhati Roy con Irene Bignardi

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Arundhati Roy, dopo il successo di "Il dio delle piccole cose" - con cui ha raccontato il mondo del suo Kerala, la sua cultura sincretica, i paesaggi e la durezza delle leggi sociali dell'India - ha iniziato un'incisiva attività di denuncia sociale, da un lato contro la costruzione delle grandi dighe che stanno compromettendo l'ecosistema indiano, dall'altro contro la guerra permanente in corso nel mondo. In "Guerra è pace" ha raccolto i suoi interventi da polemista, che le sono costati il carcere in patria. La intervista la scrittrice Irene Bignardi.

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"Guida all'Impero per la gente comune" è l'ultima fatica di Arundathi Roy, che per Irene Bignardi «non è solo una grande scrittrice. Il potere di seduzione della sua scrittura parla anche dei problemi che angustiano il mondo, facendola esporre in prima persona a rischi perfino del carcere. Personaggio complesso - laureata in architettura, attiva nel cinema come sceneggiatrice e attrice - è scrittrice di grande spettro in grado di passare dal romanzo alla prosa politica sociale. Non sono molti gli scrittori che hanno questi ritmi». A lei la parola, dunque: «Mi interessa la relazione tra l'impotenza e l'essere privi di potere. Ora il mondo è in uno stato precario, stiamo assistendo a una mutazione della democrazia; la stessa democrazia, manipolata, può diventare un istituto pericoloso». «Credo che dobbiamo smettere di parlare in termini di singoli paesi, che sia necessario far sprigionare i legami tra i popoli aggirando gli stati». «La letteratura può avere un potere sovversivo di lettura del mondo. Non c'è nulla che amo di più della scrittura narrativa. "Il Dio delle piccole cose" è nato dal mio incontro con una piccola magia. Quando i tempi saranno maturi anche io scriverò un altro romanzo. Bisogna essere un po' buddisti in queste cose: bisogna sapere aspettare, mai spingere le cose. E anch'io sto aspettando questo momento».

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