11/09/2004

PENSARE LA GUERRA


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Il lavoro del cronista di guerra è un lavoro duro, appassionante quanto pericoloso. Il giornalista spesso insegue la sua verità cercando di avvicinarsi il più possibile al fronte, là dove si spara e si decidono e si confondono tragicamente i destini di moltissime vite umane. Ma c'è un punto da cui la guerra si riesce a leggere chiaramente, a capire nella sua logica - se una logica esiste? Gianni Riotta, corrispondente da New York del "Corriere della Sera", ha affrontato ripetutamente questo tema sia nei suoi romanzi ("Principe delle nuvole") sia nei suoi saggi ("La I guerra globale"). Ne discute al Festival insieme al giornalista Mario Calabresi.

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«L'essere in mezzo alla guerra non dà l'idea del dramma che si sta vivendo, lo si riesce a comprendere solo guardando la situazione da lontano». Con queste parole Gianni Riotta ha dato il via all'incontro. Il giornalista ha evidenziato il nostro limite nel pensare la guerra, che dopo il secondo conflitto mondiale, e grazie all'articolo 11 della Costituzione è diventato una sorta di tabù. Ha criticato poi la restrittiva visione della pace come assenza di conflitti, che per il giornalista-scrittore andrebbe ampliata ad una più ideale «assenza di ingiustizie e disuguaglianze». Guerre 'celebri' e guerre 'dimenticate' sono esistite e tutt'ora esistono: gli esempi portati da Riotta, come la guerra per l'indipendenza dei Ceceni o le guerre etniche in Randa, lo hanno portato a riflettere sul fatto che serve una maggiore informazione, anche se talvolta il dovere di cronaca ci mette sotto gli occhi immagini 'forti' che vanno oltre il normale bisogno di informare. Sollecitando un sondaggio tra il pubblico, lo scrittore ha ricevuto una conferma immediata della sua teoria. Al momento di trarre le conclusioni insieme a Mario Calabresi, Riotta ha sottolineato che, all'interno del sistema della 'guerra globale', l'occidente deve essere in grado di evitare un inutile e pericoloso scontro di civiltà promuovendo la cultura del dialogo e dell'integrazione.

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