06/09/2007

CAMMINARE LA PERIFERIA, ABITARE LA PERIFERIA


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Dialogo sulle periferie italiane tra gli artisti Botto & Bruno e lo scrittore Beppe Sebaste per una narrazione del territorio affidata all'arte contemporanea e alla letteratura. Conduce l'incontro Stefania Scateni.

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Italiano
Vituperate, maltrattate, bistrattate, rifiutate, incendiate, abbandonate: le periferie come luogo di scarto, abbandono, pattumiera a cielo aperto dove scaricare emarginati, poveri, soli, diversi. Periferie detestate, periferie da cui fuggire. A volte, però, alle periferie si torna: per necessità, quando il centro si stringe come un cappio al collo dei comuni cittadini, emblema di perfezione estetica ed economica a cui i più non possono accedere. O per scelta. Come nel caso degli artisti e scrittori coinvolti da Stefania Scateni in "Periferie. Viaggio ai margini delle città": lo sguardo attento di fotografia, pittura, letteratura utilizzato per guardare con occhi nuovi realtà ingrigite dal tempo e dalla noia. Realtà, al plurale, perché di periferie e non di una periferia si dovrebbe parlare: ogni città ha un cuore pulsante e arterie periferiche tutte diverse, spesso accomunate dagli stessi problemi. Nell'incontro organizzato nel Salone Mantegnesco dell'università Stefania Scateni, giornalista de "L'Unità", Beppe Sebaste, scrittore, e la coppia di artisti Botto & Bruno raccontano così le proprie periferie, quelle ancora abitate senza ribrezzo (Botto & Bruno) e quelle descritte (non solo commentate) da Sebaste. Periferie da amare, da non lasciare a se stesse: trasformando, per quanto possibile, i difetti (forse tanti, troppi) in straordinari pregi. Periferie 'normali', tutt'altro che anonime, scoperte dietro l'angolo di città opulente, ingombranti, tentatrici: rese vive da chi ha lasciato il proprio centro straniero per andare a popolare casermoni grigi, e così, tra un kebab e una bancarella, con semplicità si riappropria del cemento armato, rendendolo dinamico, vivo, pulsante, stranamente attraente per l'italiano medio. Nessun intento estetizzante, comunque: solo il desiderio di mostrare realtà vicine eppure incredibilmente lontane, nei lati brutti come nei belli. Proprio quelli che paiono sfuggire ai nostri politici di turno (e qui le critiche non vengono risparmiate), troppo impegnati ad adeguare la realtà ai più incancreniti schemi mentali. Le periferie si mostrano così per realtà difficili da definire, sostanza liquida in trasformazione perenne, spesso nel mezzo di quell'orribile confusione che da luogo abitato dagli ultimi le trasforma in non-luogh regni della bruttezza. Periferie che, osservate da vicino, vissute dall'interno, rivelano molto di noi e della nostra storia: archivi dove il tempo continua a passare lasciando segni importanti, testimonianze di vite vissute, lottate, spesso sacrificate. Non sarebbe azzardato affermare che le periferie, con i residui di povertà ancora ben visibili lungo le strade, sui muri scrostati, conservano un passato sempre più frequentemente rimosso nella folle rincorsa di un presente nevrotico. Ed è proprio dal passato che le periferie possono rinascere: perché non c'è luogo che serbi tracce della storia che non abbia in sé dignità e importanza.

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