06/09/2007
COME PARLARE, COME SCRIVERE, COME LEGGERE
2007_09_06_044
La parola domina, la lingua si svuota. Con il proliferare dei mezzi di comunicazione - ore e ore di trasmissioni radio-televisive, pagine e pagine di riviste su carta e on-line - anche l'italiano rischia di diventare sempre più piatto, insipido, medio. A suggerirci qualche efficace rimedio per salvarci da questa deriva sono Gian Luigi Beccaria ("Per difesa e per amore") e Beppe Severgnini ("Italiano. Lezioni semiserie").
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Italiano
«Qua c'è un incontro fra competenza e incoscienza» ha scherzato questa sera Beppe Severgnini riferendosi al suo dialogo sulla lingua italiana con il professor Gian Luigi Beccaria. A fare da sfondo all'evento, il magnifico Cortile della Cavallerizza che, nonostante l'ampiezza, si è in brevissimo tempo riempito di persone, «un pubblico paziente e generoso», come è stato definito dallo stesso Severgnini. Con la loro vastissima conoscenza della lingua e la loro simpatia, Beccaria e Severgnini hanno analizzato attentamente lo stato di salute dell'italiano, diagnosticando come peggiori malattie l'appiattimento linguistico e il frasario banale e preconfezionato che ci viene trasmesso dai mass-media. Unica cura possibile è la lettura, perché ci mostra quanto il linguaggio abbia bisogno di libertà e di inventiva per sfuggire alla banalità. A conti fatti, tuttavia, l'italiano è ancora una lingua vitale e capace di non chiudersi in se stessa, che prende in prestito dall'inglese e che ogni tanto rispolvera parole antiche; una lingua che, seppure non attinge più dai dialetti, si avvia verso una forma più comunicativa che espressiva. E la punteggiatura, ci ammonisce infine Severgnini, «non è una grave forma d'acne!». È stata una garbata e divertente analisi dello stato di salute della lingua italiana quella proposta dal linguista Gian Luigi Beccaria assieme al giornalista Beppe Severgnini, che l'ha simpaticamente definita «un incontro fra competenza ed incoscienza». Si è trattato, in realtà, dell'incontro tra il professore, filologo e linguista, ed il giornalista, e dunque anche, inevitabilmente, del resoconto del loro personale rapporto col canale di comunicazione linguistico, parlato e scritto. Beccaria, da parte sua, ha tenuto ha precisare che la nostra lingua «c'è e sta benissimo» e, al di là degli errori che si possono comunemente fare, «ciò che mi preoccupa - ha detto - è la tendenza all'appiattimento, al grigio, che investe prima di tutto la lingua della televisione e della politica». In questo senso, Severgnini ha sottolineato che «la scrittura sta benone, perché oggi moltissimi usano la posta elettronica, che è figlia della vecchia lettera». Quello che Beccaria definisce 'Italiano medio', subisce però, a suo avviso, «una banalizzazione che lo spinge a ripetere se stesso. La lingua tende dunque, da un lato, alla semplificazione e, dall'altro, all'eccessiva enfatizzazione, dettata da un rapporto talvolta ansiogeno con essa. Alla realizzazione di questo fenomeno contribuisce l'interruzione di due flussi espressivi: il primo proveniente dall'alto, e cioè la lingua letteraria; il secondo dal basso, e si tratta dell'apporto dei dialetti. Siamo felicissimi - ha del resto chiarito Beccaria - di aver raggiunto l'italiano medio (o standard), ma ci stiamo sempre più avviando verso un italiano 'comunicativo', a discapito dell'italiano 'espressivo'. Questo un po' mi dispiace». La cura, però, esiste, ed è ancora una volta - pare quasi banale dirlo in questo contesto - la letteratura. «Gli scrittori ci insegnano come il linguaggio abbia in ogni caso bisogno di libertà e d'inventiva». Anche se, è stato chiarito, oggi entrano a far parte del vocabolario termini che provengono sempre meno dagli scrittori e sempre più dai mass-media o dai linguaggi tecnici.