08/09/2007

Jonathan Ames con Massimo Cirri


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Jonathan Ames, scrittore, autore teatrale, attore e moderno storyteller, paragonato per lo stile dissacrante e ironico a Charles Bukowsky, trasmette nei suoi incontri pubblici la stessa vivacità e profondità che si sperimentano leggendo i suoi romanzi ("Io e Henry"; "Sveglia, Sir!", "Veloce come la notte"), dove racconta con intelligenza e autenticità il disagio giovanile. Lo affianca il conduttore di "Caterpillar" Massimo Cirri.

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Il rimedio per reprimere il classico sonno del dopo pasto? Andare a seguire la divertente e irriverente conversazione tra lo scrittore, autore e attore teatrale, giornalista e storyteller americano Jonathan Ames e Massimo Cirri, conduttore di "Caterpillar". Conosciuto ai più come l'urlatore ufficiale del "David Letterman Show", Jonathan Ames, dopo aver ringraziato Cirri per la comodità della sua pancia (visto che il conduttore radiofonico l'ha portato all' Archivio di stato sulla canna della bicicletta!), si presenta. Ex cameriere, ex modello di biancheria intima, dopo il tentativo di diventare calciatore (fallito a causa di un infortunio) comincia a scrivere per un giornale le cronache delle partite della sua squadra, poi, affascinato da Hunter J. Thompson, inizia a scrivere storie. E spera di continuare a farlo per tutta la vita, come Philip Roth, che a 70 anni scrive ancora, «forse solo perché non fa più sesso, ma io spero di continuare a fare entrambe le cose!». Se ad essere intervistato è Jonathan Ames, irriverente scrittore, autore teatrale, attore, performer, fotomodello occasionale, e se ad intervistarlo è Massimo Cirri, pungente e ironico conduttore di "Caterpillar" (punta di diamante di Radio due), non stupisce nessuno che l'incontro inizi con urla belluine. Vere, non metaforiche. Come quelle con cui Ames, ospite fisso al "David Letterman Show", apre e chiude le proprie apparizioni. Un incontro vivace quello all'Archivio di Stato, fatto di botta, risposta e risate in cui, senza divismi, Ames racconta il proprio lavoro di scrittore: degli inizi, per esempio, con resoconti calcistici di partite a cui, da grande appassionato, non poteva più partecipare per colpa di una caviglia slogata, fino ad arrivare alla descrizione di un'umanità disperata, ai bordi della società, fatta di prostitute, drogati, vagabondi, alcolizzati, attratto dal lato oscuro e fangoso dell'esistenza, sicuro di poterne trarre fuori storie valevoli di essere raccontate: un interesse che gli è valso la carica, inutile dirlo, di erede di Bukowsky. C'è molto di Ames nei suoi libri, molto dell'autobiografia affettiva: almeno un po' in ciascuno dei tanti personaggi, custodi di emozioni intime, pensieri privati, sentimenti vissuti in prima persona. Come quello che ha dato vita al personaggio del maggiordomo in "Sveglia, sir!", nato dai mille vagabondaggi nei bassifondi delle città per raccogliere, come un vero giornalista, testimonianze: una sorta di coscienza protettrice, capace di prendere vita sulla carta assumendo una fisionomia, un volto, un carattere. C'è così tanto di Ames, nei suoi romanzi, che è proprio partendo da personali difetti e pecche che molte delle sue storie prendono vita, in un 'gioco al massacro' che prende di mira prima di tutti se stesso: un atteggiamento definito onesto più che ironico, capace di metterlo in contatto con tutti quei lettori sempre alle prese con un'immagine distorta del proprio corpo, così come della mente (quindi, alla fin fine, con ciascuno di noi, colto nel più ricorrente dei drammi quotidiani). Uno scrittore interessato, parole sue, più a vivere che a scrivere, preso dall'ansia di sperimentare quanto più possibile e che, una volta arrivato il momento della scrittura, riesce a 'riempirlo' di mille altre cose (qualche mail da controllare, un caffè da prendere, una telefonata da fare, fino al momento di andare a dormire). Ames, ragazzo degli anni ottanta, grato ai propri insegnanti di scuola superiore, preso nel vortice terroristico provocato dalla diffusione dell'AIDS all'epoca della sua prima comparsa, capace di fare il fotomodello per scherzo e rovinarsi la carriera in un bar di Parigi (non aveva preventivato che la rissa con un francese gli avrebbe regalato naso e bocca rotti), si dimostra in realtà un posato uomo dei tempi moderni, la cui più grande preoccupazione è, oggi, quel pianeta terra ridotto a giocattolo da buttare, desideroso di continuare a scrivere fino a settant'anni. Buon auspicio: per lui, ma soprattutto per noi.

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