05/09/2008

REPAIRINGCITIES


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Gli interventi urbanistici alterano in modo significativo e a volte violento il profilo di un territorio. Marco Navarra, vincitore della medaglia d'oro d'architettura della Triennale di Milano per l'opera prima, tenta di ispirarsi a una diversa filosofia di intervento: i suoi nuovi spazi urbani nascono da infrastrutture leggere ricavate da una rigenerazione di opere preesistenti che, seppure abbandonate, hanno trovato diverse forme e ragioni di permanenza e di identità. Su questa ricerca di 'repairingcities' Navarra si confronta con il giornalista Francesco Erbani e l'architetto Luca Molinari.
 

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Italiano
Oggi nella chiesa di S. Paola si è parlato di modi di fare architettura, ma anche dell'impegno etico e civile che la professione di architetto esige. In veste di moderatore, Luca Molinari, architetto e scrittore, ha presentato i suoi ospiti: Marco Navarra e Francesco Erbani. «Architetto di resistenza» (nella definizione di Molinari) il primo, impegnato a realizzare, in una realtà difficile come il meridione (vive e opera a Caltagirone), un'architettura che rispetti e migliori l'ambiente. Giornalista il secondo, tra i pochi in Italia a mostrare, attraverso i propri articoli, la volontà civile ed etica di comprendere il cambiamento urbanistico e paesaggistico in atto in Italia. Marco Navarra ha illustrato i suoi studi (presentati nel 2006 alla Biennale di Architettura con il titolo "Repairing Cities") sull'urbanistica del Cairo. Nella megalopoli egiziana vige la consuetudine di riparare, di rimettere in funzione, a volte migliorandoli, oggetti di uso quotidiano, come cellulari e auto. Un'atteggiamento che è stato applicato alla città stessa, dove la comunità si è riappropriata naturalmente e spontaneamente di spazi urbani inutilizzati per creare nuovi spazi di aggregazione. Erbani ha auspicato che il principio del 'repairing', del riutilizzo di risorse esistenti, possa diventare un valore, una regola di vita. Un cambiamento necessario soprattutto in seguito al cambiamento delle città, che si popolano sempre più, pur avendo perso le caratteristiche che le hanno trasformate in poli di attrazione (sicurezza, opportunità di lavoro). Per Erbani il concetto è una delle espressioni più alte di cultura, intesa come organizzazione spontanea per affrontare e risolvere un problema. Con le domande del pubblico si è discusso di come una certa cultura diffusa, le polemiche tra conservatori e innovatori, committenze e costi, siano responsabili delle mancanze e dei paradossi del modo italiano di fare architettura.

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