12/09/2009

DOVERI E DIRITTI IN TERRE DI CAMORRA


2009_09_12_120
Raffaele Cantone è stato pubblico ministero presso la Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, dove si è occupato delle indagini sul clan dei Casalesi. «Raffaele Cantone - ha scritto Roberto Saviano - diviene magistrato per amore del diritto. Lo guida (...) il desiderio di capire un fenomeno vicino al quale era cresciuto. A Giugliano. Un territorio attraversato da guerre di camorra (...). Un uomo che si forma in una situazione del genere comprende che il diritto diviene uno strumento fondamentale per concedere dignità di vita. Una dignità basilare, quella di vivere, di lavorare, di amare. Dove la regola non soffoca l'uomo ma anzi è l'unico strumento per concedergli libertà». Autore di "Solo per giustizia", Cantone incontra il giornalista Ranieri Polese. 



L'evento 120 ha subito variazioni rispetto a quanto riportato sul programma. Originariamente il suo svolgimento era previsto presso il Teatro Ariston.
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Solo per giustizia risuona più echeggiante (quasi rimbombante) di un semplice titolo. Raffaele Cantone che a quest'appuntamento dialoga con Ranieri Polese sul tema della camorra e tutto ciò che le appartiene. Un bollito misto, digeribile con molta difficoltà, che viene introdotto da Cantone con un focus sull'avverbio 'solo' avvertito come necessario, che richiama la possibilità di fare qualcosa al fine della legalità nelle terre di camorra. Attraverso una lucida storia degli ultimi trent'anni di attività, Cantone ripercorre le logiche di vita dell'associazionismo camorristico. Ne analizza la posizione, che risulta trasversale rispetto a tutto il mondo politico (senza aderire però ad una ideologia, come invece accade nella mafia siciliana), e i traffici illeciti, in particolare quello di rifiuti, tracciando un profilo sintetico di quella vicenda che non ha eguali e ha richiamato l'attenzione dell'opinione pubblica nel mondo grazie al pluricitato Roberto Saviano. Nato a Giuliano, tra Napoli e Caserta, Cantone racconta di come crescere in quei luoghi significhi stupirsi se, ogni giorno, non ci scappa un morto e aggiunge che nella sua carriera di magistrato gli è accaduto più volte di aver rivolto ai pentiti la solita domanda cruciale: «Perchè sei diventato camorrista?» e di essersi sentito rispondere sempre «Perché volevo rispetto». Seduzione e attrattiva per sfuggire al disagio sociale, guadagnare una posizione nuova, di rilievo, in una società dell'immagine altra com'è quella dei clan di camorra. Lo sanno bene le donne dei boss, principesse del ghetto di Secondigliano, che giocano ruoli fondamentali nelle partite dei loro uomini di clan: manovrano, scelgono le pedine da sostituire, tengono strette le redini quando i mariti si trovano in prigione. Quale futuro? «Bisogna eliminare quel brodo di coltura da cui la camorra nasce» afferma Cantone, anche se molti passi avanti, dalla fine degli anni '80 ad oggi, sono stati fatti; «Il rapporto con le imprese e la politica è da eliminare» aggiunge l'autore, il quale scherzando afferma: «Certo, io non ho la bacchetta magica».

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