09.09.2010
Eugenio De Signoribus con Elia Malagò
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Eugenio De Signoribus, marchigiano, ha pubblicato nel 2008 tutte le sue "Poesie (1976-2007)". Cinque raccolte e alcuni inediti che tracciano la vicenda poetica di uno degli autori più appartati, definito da Giorgio Agamben «forse il più grande poeta civile della sua generazione». Il volume, vincitore del Premio Viareggio 2008, testimonia «l'epica umile» del poeta che esce dalla fortezza, dalla fitta trama degli effetti fonici per aprire alla consapevolezza della crisi del linguaggio, oggi accelerata dalla pervasività mediatica. Lo incontra Elia Malagò.
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Italiano
Ore 19.15. Al chiostro Santa Barbara, Elia Malagò continua il suo percorso di conversazioni con i poeti italiani contemporanei, mentre in fianco a lei siede con timida eleganza il poeta marchigiano Eugenio De Signoribus. Eugenio è un poeta restio e deferente rispetto ai media o ai grandi dibattiti contemporanei. Attitudine questa, che non gli ha impedito gli apprezzamenti dei più grandi intellettuali europei, come ad esempio Yves Bonnefoy, che lo ha detto «poeta selvatico», e Giorgio Agamben, che lo ha nominato «poeta civile». Come unire allora queste due definizioni contrastanti solo in apparenza?
Il poeta, dal canto suo, si esprime con una curata emotività, e con la lettura piana e forte della sua discrezione, come traspare dai versi di "Ronda dei conversi": «I conversi sono coloro che convergono e piegano il dolore perché possa divenire altro» spiega la sua voce garbata, in una confessione che crea un'atmosfera di intime presenze, cosa rara nella poesia contemporanea.
Attraverso la dissoluzione, il disarmo e la debolezza dette dal poeta, il pubblico prende parte ad una inquietudine universale e viene in seguito richiamato verso una santa terra che è la parola e che dice «in questa lingua ospitiamoci».
Il poeta, dal canto suo, si esprime con una curata emotività, e con la lettura piana e forte della sua discrezione, come traspare dai versi di "Ronda dei conversi": «I conversi sono coloro che convergono e piegano il dolore perché possa divenire altro» spiega la sua voce garbata, in una confessione che crea un'atmosfera di intime presenze, cosa rara nella poesia contemporanea.
Attraverso la dissoluzione, il disarmo e la debolezza dette dal poeta, il pubblico prende parte ad una inquietudine universale e viene in seguito richiamato verso una santa terra che è la parola e che dice «in questa lingua ospitiamoci».