08/09/2011

L'ARTE DELLA FUGA

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«Fuga è un termine usato in guerra e in musica», scrive Erri De Luca: «in entrambi i casi è un'arte». Come ben sa l'uomo di montagna «bisogna capire quando è necessario fare un passo indietro, quando devi ritirarti». Occorre controllo, mente fredda, capacità di superare la fatica. Così Dio chiede a Mosè e agli ebrei in fuga «una disciplina adatta allo sbaraglio» per attraversare il Sinai. Fuggire per iniziare di nuovo a vivere e a combattere.
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Tutto comincia con un applauso, che parte improvviso quando Erri de Luca entra mescolato al pubblico. Molti altri e molto calorosi applausi scandiranno l'evento, affollatissimo, a dimostrazione di quanto questo autore sia amato. Chiamato sul palco del Cortile della Cavallerizza a parlare di fuga 'in guerra e in musica', Erri de Luca precisa subito che del secondo caso non si occuperà, non essendo lui un musicologo. Parla però di fuga dai ranghi dell'esercito, di fuga come atto di fede, di fuga alla ricerca di una terra promessa, di fuga senza una meta, di fuga da una patria che non ci vuole. Di guerra, di religione e di immigrazione. Ma parla anche di alberi, di pozzi e di ombre, racconta le proprie fughe e ribadisce che per lui «la fuga è un atto di libertà».

La fuga può essere un'arte. Forse deve esserlo, visto che bene o male tutti, prima o poi, ci troviamo in questa situazione: in fuga da una vita che non va come vorremmo, da un lavoro oppressivo, da una città troppo grande, o troppo piccola, da un amore che continua a perseguitarci in sogno.
Seppur nella normale accezione questo termine, che porta automaticamente alla memoria codardia e mancanza di coraggio, può essere considerato come una scelta di 'ripiego', non per questo è da guardare con disprezzo. Lo dice anche Erri De Luca, grande amante della montagna, che si rifà proprio alla pratica del camminare quando afferma che nello scalare una vetta «bisogna capire quando è necessario fare un passo indietro, quando ritirarsi». Non tutti devono averlo compreso però, se è vero che la storia dell'alpinismo è ancora costellata da morti evitabilissime, causate solo da una forsennata smania di arrivare in cima.
Scappare per iniziare di nuovo a vivere, e preparasi a nuove battaglie: per questo la disciplina della fuga deve essere considerata, in tema bellico, alla pari di un attacco. Fa parte di una strategia, non diversa dal sorprendere il nemico ai fianchi, tendergli un'imboscata, attaccarlo frontalmente quando meno se lo aspetta.  
Tutta la storia, insegna De Luca, è segnata da 'fughe'. Basti pensare ai re costretti a scappare lontano dal trono, inseguiti da sudditi stanchi di obbedire ai loro ordini, agli eserciti smantellati da un giorno all'altro o ai flussi migratori che ha segnato lo scorso secolo, milioni di persone decise ad abbandonare una patria alla ricerca di un nuovo posto a cui appartenere. Più di tutti, però, il simbolo della fuga possono essere Mosé e il popolo ebraico, costretti ad attraversare il Sinai in un pellegrinaggio lungo quarant'anni, chiamati da Dio a raggiungere una terra promessa. Ed è su questo esodo che De Luca ha incentrato il suo ultimo romanzo, "E disse", e di cui ha parlato al Cortile della Cavallerizza, ripercorrendo la vicenda biblica dell'Esodo con le parole di chi deve ha studiato con tutta la dovizia necessaria le Sacre Scritture.
Fuga come atto di libertà, quindi, come qualcosa di salutare, perché, come insegnava Demostene, «l'uomo che fugge può combattere di nuovo».

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