08/09/2011
L'IDENTITÀ ITALIANA DA AUGUSTO AD OGGI
2011_09_08_073
Valerio Massimo Manfredi, autore di una serie fortunatissima di romanzi storici ("Le Idi di marzo", "L'Ultima legione", "Alexandros" tra gli altri) e recentemente di un volume dedicato alla nostra storia più recente ("Otel Bruni"), cerca di tracciare l'evoluzione storica dell'idea di Italia dalle origini fino ai nostri giorni: un'idea che, secondo Manfredi, comincia a definirsi sotto il principato di Augusto, con la profonda riforma istituzionale dello stato romano.
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Italiano
«'In mea verba tota Italia sponte sua iuravit'. Così nasce la nostra nazione». E così inizia l'evento che vede protagonista Valerio Massimo Manfredi nel Cortile della Cavallerizza, con le parole tratte dalle "Res Gestae" di Augusto. A chi crede che l'Italia abbia solo 150 anni, Manfredi svela una grande verità: la nostra memoria, la nostra nazione come unità, nasce allora, al tempo di Augusto. In seguito, purtroppo, con la caduta dell'Impero Romano, quest'unità venne dimenticata. Ma la memoria rimase viva nel cuore degli intellettuali, degli scrittori e dei poeti di ogni tempo, e Manfredi ce lo conferma con prove storiche e tante citazioni, da Dante a Petrarca e Cola di Rienzo, da Machiavelli a Foscolo e Leopardi, con la loro disperazione di vedere l'Italia divisa e la speranza di recuperare la forza e la gloria perdute.
Con la sua usuale capacità di affascinare il pubblico, anche questa volta Manfredi è riuscito a rendere vivida la storia passata. «150 anni fa abbiamo ereditato il nostro paese», conclude l'autore. Un paese che è come un castello cadente, diroccato, ma con tanti segni di un passato glorioso. A noi, gli eredi, la scelta fatidica: lasciarlo perdere e tornare a dormire come se nulla fosse, o restare incantati da questo castello, rimboccarsi le maniche e rimetterlo insieme, perché è la casa dei nostri avi. E a volte, per capire questo nostro presente e anche il futuro, serve qualcuno che ci spieghi la storia passata. Qualcuno come Valerio Massimo Manfredi.
«Tota Italia». È questa la prima dichiarazione d'indipendenza della nostra nazione. E la proclamò l'imperatore Augusto due millenni fa. Valerio Massimo Manfredi apre il grande libro della storia d'Italia e inizia il racconto. Con Augusto, tutta l'Italia va a coincidere con Roma e i confini diventano quelli naturali delle Alpi a nord e dei mari che la circondano sugli altri lati. Identità, memoria, storia. L'identità tra Roma e l'Italia inizia ad essere cantata dai poeti e raccontata dagli storici. Per diventare memoria. Per diventare storia. Polibio e Catone per primi. E Tito Livio, che narra come Annibale, profanatore delle Alpi, sulla loro cima promise terre ricche ai suoi. Orazio, che compone il primo inno alla nazione. E naturalmente Virgilio, che rimane l'inarrivabile costruttore ideologico dell'Italia. Il poeta mantovano cita il nome 'Italia' ben 37 volte e addirittura con grida di entusiasmo nel libro terzo. Plinio il Vecchio, che delinea appunto le Alpi come confine naturale dato dalla provvidenza per separarci dai barbari. Poi tutto viene disperso, l'Italia nel VI secolo si spezza lungo la linea gotica (che tornerà tristemente nota durante la seconda guerra mondiale). Rimane solo la memoria dei poeti e i gesti di Cola di Rienzo, che voleva resuscitare il ricordo di Roma imperiale, nonostante il foro romano si chiamasse campo delle vacche e il Campidoglio monte caprino. Ci vollero secoli perché Michelangelo ricomponesse proprio il Campidoglio, collocando Marco Aurelio al centro di esso. Dante e Petrarca scriveranno pagine dolenti sul destino dell'Italia. L'età dei comuni, delle 100 città, dei 100 municipi, forse divise davvero per sempre la nazione, ma fecero ricordare a tutti da dove venivano. E in seguito, le Repubbliche marinare e poi le Signorie fecero a gara per avere le biblioteche migliori. Stimolarono il ricordo, riportarono in vita l'unità perduta. Anche se l'Italia rimase uno spettro, la penisola aveva una sola lingua, aveva comunque un'anima. Dante l'aveva forgiata e Petrarca la portò a livelli altissimi. Machiavelli, i racconti sul Barbarossa o sulla diffida di Barletta. Secoli. E finalmente il miracolo dell'unità vera, sospinta dal romanticismo, da Pascoli, da Leopardi, addirittura da Pio IX. Ma soprattutto da Mazzini e Garibaldi che, per amore dell'Italia, scesero a compromessi e consegnarono la nazione appena nata ai Savoia. La verità, quindi, è che 150 anni fa l'Italia si è rimessa insieme con tutti i popoli che conteneva, 150 anni fa abbiamo ereditato il nostro paese.
Con la sua usuale capacità di affascinare il pubblico, anche questa volta Manfredi è riuscito a rendere vivida la storia passata. «150 anni fa abbiamo ereditato il nostro paese», conclude l'autore. Un paese che è come un castello cadente, diroccato, ma con tanti segni di un passato glorioso. A noi, gli eredi, la scelta fatidica: lasciarlo perdere e tornare a dormire come se nulla fosse, o restare incantati da questo castello, rimboccarsi le maniche e rimetterlo insieme, perché è la casa dei nostri avi. E a volte, per capire questo nostro presente e anche il futuro, serve qualcuno che ci spieghi la storia passata. Qualcuno come Valerio Massimo Manfredi.
«Tota Italia». È questa la prima dichiarazione d'indipendenza della nostra nazione. E la proclamò l'imperatore Augusto due millenni fa. Valerio Massimo Manfredi apre il grande libro della storia d'Italia e inizia il racconto. Con Augusto, tutta l'Italia va a coincidere con Roma e i confini diventano quelli naturali delle Alpi a nord e dei mari che la circondano sugli altri lati. Identità, memoria, storia. L'identità tra Roma e l'Italia inizia ad essere cantata dai poeti e raccontata dagli storici. Per diventare memoria. Per diventare storia. Polibio e Catone per primi. E Tito Livio, che narra come Annibale, profanatore delle Alpi, sulla loro cima promise terre ricche ai suoi. Orazio, che compone il primo inno alla nazione. E naturalmente Virgilio, che rimane l'inarrivabile costruttore ideologico dell'Italia. Il poeta mantovano cita il nome 'Italia' ben 37 volte e addirittura con grida di entusiasmo nel libro terzo. Plinio il Vecchio, che delinea appunto le Alpi come confine naturale dato dalla provvidenza per separarci dai barbari. Poi tutto viene disperso, l'Italia nel VI secolo si spezza lungo la linea gotica (che tornerà tristemente nota durante la seconda guerra mondiale). Rimane solo la memoria dei poeti e i gesti di Cola di Rienzo, che voleva resuscitare il ricordo di Roma imperiale, nonostante il foro romano si chiamasse campo delle vacche e il Campidoglio monte caprino. Ci vollero secoli perché Michelangelo ricomponesse proprio il Campidoglio, collocando Marco Aurelio al centro di esso. Dante e Petrarca scriveranno pagine dolenti sul destino dell'Italia. L'età dei comuni, delle 100 città, dei 100 municipi, forse divise davvero per sempre la nazione, ma fecero ricordare a tutti da dove venivano. E in seguito, le Repubbliche marinare e poi le Signorie fecero a gara per avere le biblioteche migliori. Stimolarono il ricordo, riportarono in vita l'unità perduta. Anche se l'Italia rimase uno spettro, la penisola aveva una sola lingua, aveva comunque un'anima. Dante l'aveva forgiata e Petrarca la portò a livelli altissimi. Machiavelli, i racconti sul Barbarossa o sulla diffida di Barletta. Secoli. E finalmente il miracolo dell'unità vera, sospinta dal romanticismo, da Pascoli, da Leopardi, addirittura da Pio IX. Ma soprattutto da Mazzini e Garibaldi che, per amore dell'Italia, scesero a compromessi e consegnarono la nazione appena nata ai Savoia. La verità, quindi, è che 150 anni fa l'Italia si è rimessa insieme con tutti i popoli che conteneva, 150 anni fa abbiamo ereditato il nostro paese.