09/09/2011

LA RIVOLUZIONE DI AL JAZEERA

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Si può dire che Al Jazeera abbia preparato e poi accompagnato il risveglio, l'emancipazione democratica del mondo arabo, mettendo a confronto le versioni ufficiali e le voci dell'opposizione, utilizzando corrispondenti di diverse nazionalità, riportando commenti contrastanti, con un metodo di lavoro e un linguaggio sconosciuti nel mondo islamico. Dopo gli anni in cui veniva accusata di diffondere i messaggi di Bin Laden, durante la primavera araba di questi mesi ha ricevuto pubblicamente il sostegno di Hillary Clinton e dell'ex candidato repubblicano McCain ed è diventata una fonte indispensabile per i media occidentali. Mostefa Souag, direttore delle news di "Al Jazeera Arabic", ne parla con il giornalista Valerio Pellizzari.
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"Al Jazeera" è nata nel 1996. Da allora, è stata e continua ad essere un punto fermo nella vita di moltissimi uomini e donne, nel cosiddetto 'mondo arabo' e (sempre di più) al suo esterno. 
È con la forza che può ricavare da questa certezza che Mostefa Souag, attuale direttore delle news di "Al Jazeera Arabic", parla a Festivaletteratura. La sua è una narrazione schietta, concisa ed efficace, da cui scaturisce la virtù, ormai rara nel giornalismo nostrano, dell'onestà intellettuale. 
Mostefa traccia una storia di coraggio e di sacrifici, oscurata ai più dal discredito: mentre i tiranni locali la dipingevano come portavoce del Mossad o della CIA, per l'Occidente "Al Jazeera" era il megafono di al-Qaeda. In entrambi i casi, il fango copriva la rivoluzione già in atto in quegli studi televisivi, quella che voleva combattere la propaganda con l'informazione. Non più bollettini di governo senza fine, ma professionismo e, soprattutto, verità, costruita al plurale grazie a programmi di discussione libera, all'inclusione delle opposizioni. Dunque, la reazione: chiuse le sedi, cancellata la pubblicità, sorvegliati i reporters; ma anche processi sommari, arresti ingiustificati e l'attacco frontale portato dal bombardamento statunitense in Iraq ed Afghanistan. 
La censura, così radicalmente espressa, ha finito per rafforzare il legame di "Al Jazeera" con il pubblico o, meglio, il popolo. La primavera araba ha esemplificato la natura di questa relazione: da un lato, il racconto degli eventi rivoluzionari è stato possibile solo grazie alla protezione di giornalisti e operatori da parte dei civili, nonché dal materiale da loro prodotto, in un'interessante cooperazione tra media 'tradizionali' e non; dall'altro, le stesse immagini proposte dalla tv araba, capaci di inquadrare - senza commenti - i veri protagonisti del cambiamento, i giovani e le piazze. Così con le parole di Mostefa Souag possiamo dire che «'Al Jazeera' non ha cominciato le rivoluzioni, ma ha contribuito a far sì che le persone capissero il loro potere», da troppo tempo sopito dalla repressione. A quest'indispensabile funzione di empowerment va ricondotto il ruolo di un giornalismo onesto, come dicevamo, che riconosce l'errore, ma non si concede più alla manipolazione. 

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