09/09/2011

Gillo Dorfles con Massimo Carboni

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«Una delle rovine del nostro tempo è il conformismo. Gli uomini vogliono fare quello che fanno gli altri e restano in questa palude di non individualità. Se non si è curiosi, praticamente non si esiste». Pittore, teorico delle arti, sociologo del gusto, divulgatore culturale, Gillo Dorfles è uno dei grandi protagonisti del pensiero italiano ed europeo. La sua opera si contraddistingue per l'apertura con cui, in netto anticipo, ha saputo indagare correnti artistiche e campi del sapere; per l'onnivora curiosità intellettuale; per la capacità rinnovata di interpretare materiali e fenomeni che si propongono nel tempo alla sua attenzione. In occasione di questo suo ritorno a Festivaletteratura lo incontra Massimo Carboni, curatore del volume "Divenire" di Gillo Dorfles.
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Italiano
L'accoglienza a Gillo Dorfles è calorosa, ma nessuno ancora sa che di lì a un'ora l'erudito, intellettuale, profondo conoscitore delle arti e di tutto ciò che gli gravita intorno, lascerà intravedere un lato spigliato, affabile e abilissimo a sviare domande 'scomode' con battute taglienti. Massimo Carboni lo interroga su questioni che riguardano l'estetica contemporanea, dall'eredità crociana al problema del rapporto arte-consumo, ma Dorfles non si esime dal farcire le sue risposte con divertenti pillole personali, come la musica scelta per il suo matrimonio, ma anche profonde riflessioni, quali la bellezza delle eplosioni della guerra, l'importanza della psicanalisi o il rapporto, spesso amicale, che lo legava a figure di spicco, quali Fontana, Licini o Argan. Lo spazio alle domande del pubblico dà la possibilità al critico d'arte di cimentarsi nell'ultimo rintocco. Un signore con la camicia a righe celesti gli chiede quali siano i conformismi odierni. Lui, senza esitare, risponde: «Portare una camicia a righe celesti».

L'estetica italiana è stata fortemente influenzata dal pensiero di Croce. Almeno fino ad un certo periodo. Massimo Carboni in una laudatio a Gillo Dorfles, cita ironicamente Umberto Eco dicendo che «ogni intellettuale italiano porta il suo Croce».
Dorfles, fin dai suoi esordi, ha rifiutato la pesantezza statica dell'influenza crociana. La vera estetica è invece quella che parte dai sensi e come tale nasce dal molteplice, da un pensiero prerazionale che è più forte di ogni idealismo. Si chiama curiositas ed è l'attitudine di Dorfles, un vero specialista perché non parte assolutamente dallo specifico.
Definiamo un po' la geografia del critico. Curiositas, molteplice, sono gli incipit di uno specialista che non cade mai nel secco specialismo ma che rimane nel fertile eclettismo della cultura, per poi tastare il terreno delle discipline a lui care. Design, moda, arti visive, figurative e mercato dell'arte, sono la trama di quella curiosità che si fonda nella molteplicità dei sensi. E non può essere altrimenti se si pensa che Dorfles è psichiatra per studi, musicista per diletto, pittore per passione e critico per professione. Una molteplicità d'identità che si traduce nell'immensa varietà della sua bibliografia. Qual è allora il filo conduttore di una varietà che rischia di essere disorientante? Non dimentichiamo che Gillo Dorfles è prima di tutto un esteta. E come tale non è il ben pensare ma il bel pensare che definisce la sua persona. Ben venga allora la sua analisi del mercato dell'arte. In un mondo gestito dalla vendita, il mercato decide che cosa è arte e che cosa no. Al di sopra del critico e spesso al di sopra dell'artista stesso, il mercato si sostituisce all'opera e si fa esso stesso arte al suo posto. In questo sistema il bel pensare di Dorfles non risparmia l'artista e se il mercato pecca con i suoi tradimenti, l'artista non si dà più come una volta. Fino a qualche tempo fa l'artista moriva di fame e soffriva di povertà, ma viveva per il capolavoro fino all'ultimo dei suoi giorni. Oggi nessun artista rischia la fame per l'arte.
Se il critico è colui che divide e spezza (da 'krinein' che in greco significa dividere) il bel pensiero di Dorfles si rifiuta di separare e di tranciare. Allora non c'è differenza tra i suoi studi come psichiatra e la sua opera umanistica o tra il suo amore della musica - Dorfles nasce da una famiglia in cui il suocero era amico di Verdi e il nonno amico di Listz - e la sua passione pittorica. Anzi il critico non si divide dal pittore, dallo psicanalista o dal musicista. Ammesso che la critica divida, il critico non si divide.
Dorfles non si scosta da questa abitudine nemmeno negli affetti. Spesso i suoi artisti preferiti sono anche gli amici più cari, emotivamente ed intellettualmente vicini. Amici. L'emotività arricchisce i suoi sguardi e viene in seguito proiettata nel mondo in maniera talmente intensa da fargli dire che a volte anche la guerra può essere bella. E detto da lui che la guerra l'ha fatta questo aggettivo assume tutta un'altra forza, priva di ogni perversione. Il fronte della linea gotica e le bombe che scoppiano in lontananza, verso Volterra, fanno eco alla critica del giudizio di Kant e al sentimento del sublime.
Il bel pensiero è un'attitudine disinvolta e distante dal ben pensare. Ne è segno l'ultimo dei suoi libri, "Conformismo", che sfata luoghi comuni nascosti dietro l'apparente bonarietà dei gesti quotidiani.
«Ci faccia un esempio di conformismo» chiede un signore in camicia a righe bianche e azzurre.
«Conformismo è portare una camicia a righe bianche e azzurre!» risponde Dorfles.
Il bel pensare non è povero nemmeno in ironia.

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