09/09/2011
IL REGISTRO DEI PECCATI. Rapsodia lieve per racconti, melopee, narrazioni e storielle
2011_09_09_142
Se c'è un artista in grado di essere chiaro nelle spiegazioni, leggero nell'ironia, profondo nell'analizzare le situazioni, divertente nella narrazione e capace di dipingere i suoi spettacoli di un'aurea spirituale, questi è Moni Ovadia. Ne "Il registro dei peccati", il suo riferimento è il khassidismo, una corrente ebraica nata verso metà '800, che viveva come uniti e complementari la vivacità del principio spirituale e religioso, espresso nella gioia e nella santità delle danze e dei canti, e lo studio metodico e rigoroso della sacra scrittura. Una visione che trova riscontro in una affermazione del grande teologo cattolico Teilhard de Chardin: «Non siamo esseri materiali che vivono un'esperienza spirituale, noi siamo esseri spirituali che fanno un'esperienza materiale».
English version not available
Italiano
Moni Ovadia ha intrattenuto il pubblico della Cavallerizza con due ore di racconti e storielle, melopee e humor ebraico, presentando con leggerezza e passione il mondo del Khassidismo, corrente ebraica nata verso la metà dell'800 e spezzata poi dagli eventi degli anni '20 e '30 del XX secolo.
Gli uomini di cui ha raccontato Ovadia credevano in un Dio che, secondo i versetti di Isaia, non dà meriti per la pratica religiosa, ma per il perseguimento della giustizia sociale, che raccomanda ad un popolo di esiliati di rispettare e assistere lo straniero e di riportare al padrone l'asino che il nemico ha perso. Erano uomini che cantavano e così santificavano le feste, ma soprattutto erano uomini che sapevano ridere: erano i discendenti di Abramo e Isacco, che in ebraico significa appunto 'riderà'! La loro spiritualità si fondava con quanto di meglio la carne offre, realizzando così i versi non siamo esseri materiali che vivono un'esperienza spirituale, ma esseri spirituali che vivono un'esperienza materiale. Il dio di questi uomini era un Dio di pace, amore e tolleranza, e da qui il saluto di Ovadia al suo pubblico, entusiasta e divertito: «Che Dio vi benedica, soprattutto se non ci credete!».
Gli uomini di cui ha raccontato Ovadia credevano in un Dio che, secondo i versetti di Isaia, non dà meriti per la pratica religiosa, ma per il perseguimento della giustizia sociale, che raccomanda ad un popolo di esiliati di rispettare e assistere lo straniero e di riportare al padrone l'asino che il nemico ha perso. Erano uomini che cantavano e così santificavano le feste, ma soprattutto erano uomini che sapevano ridere: erano i discendenti di Abramo e Isacco, che in ebraico significa appunto 'riderà'! La loro spiritualità si fondava con quanto di meglio la carne offre, realizzando così i versi non siamo esseri materiali che vivono un'esperienza spirituale, ma esseri spirituali che vivono un'esperienza materiale. Il dio di questi uomini era un Dio di pace, amore e tolleranza, e da qui il saluto di Ovadia al suo pubblico, entusiasta e divertito: «Che Dio vi benedica, soprattutto se non ci credete!».