10/09/2011
Valentino Zeichen con Daniele Piccini
2011_09_10_228
Come ha scritto Giuseppe Conte «a vederlo camminare diritto e a grandi, sicure falcate per le vie di Roma, a sentirlo parlare al telefono con la sua voce teatrale e a tratti enfatica, a ridere con lui a crepapelle dopo uno dei suoi straordinari affondi pieni di humour, di paradosso e di intelligenza, uno direbbe Valentino Zeichen poco più che un ragazzo». Nato a Fiume, Valentino Zeichen vive a Roma dal 1949. Dopo l'esordio, avvenuto nel 1974 con "Area di rigore" (prefazione di Elio Pagliarani), ha pubblicato numerose raccolte tra cui "Museo interiore"; "Gibilterra"; "Metafisica tascabile", fino all'ultimo "Aforismi del tempo". Poeta vistosamente antilirico, funambolico nelle scelte verbali, privilegia il movimento narrativo, l'andamento prosastico, l'approccio saggistico nella varietà dei temi prediletti (i grandi eventi della storia, l'amore, il legame indissolubile con Roma, sua città di adozione). Lo incontra Daniele Piccini, poeta e critico letterario.
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Italiano
Come ha scritto Magrelli, Zeichen è un poeta che «fa tutt'uno della sua biografia e del suo personaggio» e così incontrarlo è un po' come trovarsi dentro le sue poesie: ironiche, istrioniche, argute, antiliriche. E a ruota libera parla di tutto: della solitudine del poeta, l'essere più sociale che però oggi si trova privo di una società, messo da parte, morto e di ciò soffre e perciò rimpiange gli antichi committenti. Di cosa infatti dovrebbe parlare un poeta? di sé? dei propri sentimenti? Queste sono, secondo Zeichen, cose misere: la poesia è impersonale e scrivere è sempre scrivere per qualcuno.
Del resto questo poeta dichiara la sua sfiducia nel fatto che l'umanesimo possa oggi rispondere alle grandi domande in quanto, egli sostiene, ha perso la possibilità di farlo.
I paesi emergenti, la Cina, l'India, non hanno bisogno del modello di uomo che è stato elaborato dalla tradizione occidentale, si tratta di un modello troppo costoso da sostenere per cui destinato a scomparire. La scienza potrebbe porre e porsi le questioni fondamentali ma solo a patto che di non diventare metafisica, astratta, irrelata con la quotidianità umana ma lavorando a migliorare la qualità di questa quotidianità.
Come si vede, la sua è una poesia che non teme di affrontare la contemporaneità, la merceologia, la banalità e ha la forza, in tutto questo, di rimanere poesia.
Del resto questo poeta dichiara la sua sfiducia nel fatto che l'umanesimo possa oggi rispondere alle grandi domande in quanto, egli sostiene, ha perso la possibilità di farlo.
I paesi emergenti, la Cina, l'India, non hanno bisogno del modello di uomo che è stato elaborato dalla tradizione occidentale, si tratta di un modello troppo costoso da sostenere per cui destinato a scomparire. La scienza potrebbe porre e porsi le questioni fondamentali ma solo a patto che di non diventare metafisica, astratta, irrelata con la quotidianità umana ma lavorando a migliorare la qualità di questa quotidianità.
Come si vede, la sua è una poesia che non teme di affrontare la contemporaneità, la merceologia, la banalità e ha la forza, in tutto questo, di rimanere poesia.