11/09/2011

DIECI ANNI DOPO

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Che cosa è andato perduto sotto le macerie delle Torri gemelle? Dopo dieci anni di guerra - e a dispetto di una lotta senza quartiere contro il terrorismo internazionale - la domanda continua a imporsi al centro della nostra attenzione, quasi a testimoniare che imponenti misure di sicurezza e ingenti sforzi militari non solo non hanno reso giustizia alle migliaia di vittime, ma hanno contributo a rafforzare il nemico più subdolo che l'Occidente si trova oggi a fronteggiare: la paura. Ne parlano, insieme al giornalista Enrico Franceschini, il reporter e saggista statunitense William Langewiesche ("Esecuzioni a distanza") e il direttore di "Limes" Lucio Caracciolo ("America vs America").
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Anche questa quindicesima edizione è arrivata alla fine, quest'anno ancora più significativa perché coincidente con l'11 settembre, il decimo anniversario di una strage che non abbiamo ancora superato, un evento che ha segnato gli ultimi dieci anni e che, ora, ci mette di fronte a un mondo in caduta libera.
Le voci di questa sera, quelle di Lucio Caracciolo e del giornalista americano William Langewiesche, stimolate dalle domande del giornalista di "Repubblica" Enrico Franceschini - francamente poco in forma questa sera -, hanno cercato di ripercorrere gli questi ullimi dieci anni, senza però trovare molte risposte, o forse sbagliando semplicemente le domande.
Il mondo in questi dieci anni è cambiato, ma la nostra visione del mondo, viziata da delle categorie mentali semplicistiche e inutili non si è certo evoluta. «Al diavolo l'11 settembre», ha detto Langewiesche alla fine del suo intervento. Probabilmente ha ragione, ma per superarlo abbiamo ancora bisogno di molti sforzi, e questi sforzi non riguardano in alcun modo il terrorismo, perché il problema è dentro di noi e riguarda la nostra capacità di vedere il mondo.

Capita, a volte, che eventi che si prefiggono di rispondere a certe domande, domande che ci sembrano importanti e urgenti come quelle che riguardano il mondo dopo l'11 settembre, rispondano ad altre domande, meno importanti, se si vuole, o forse, semplicemente meno visibili e più sottili. L'ultimo evento di questa quindicesima edizione del Festivaletteratura di Mantova è uno di questi eventi.
Se infatti le domande cui si prefiggeva di rispondere sembravano gravitare intorno al declino dell'egemonia degli Stati Uniti, al significato della tragedia delle torri e a come si è evoluta la realtà in seguito a quel giorno, in realtà l'unica risposta significativa che ne è emersa riguarda una domanda a cui quasi nessuno pensava, una domanda mai posta che riguarda la nostra capacità di riconoscere la realtà.
Quello che è emerso questa sera in Piazza Castello dal dibattito tra il giornalista italiano Lucio Caracciolo e quello americano William Langewiesche, dalle domande di Enrico Franceschini e dalle reazioni e domande del pubblico è che la nostra visione del mondo è assolutamente viziata da un filtro che la deforma, un filtro costruito in questi anni dai giornali e dalle televisioni il cui processo di costruzione risale a molto prima dell'11 settembre 2001.
Gli effetti di questo filtro sono ben chiari. Dall'identificazione di Bin Laden come l'incarnazione del Male fino all'incapacità di comprendere che i fronti della cosiddetta 'guerra al terrore' non sono culturali - non sono cioè due religioni, due culture o due civiltà - ma sono economici, una piccola parte del mondo che detiene la quasi totalità delle ricchezze, la classe dirigente, contro la maggior parte del mondo che queste ricchezze non le ha, o ne ha sempre di meno, la classe, o le classi, subalterne.
Solo Caracciolo, pur senza esternarla, è sembrato intenderla. Tutti gli altri attori del dibattito, compreso il pubblico, pur rigettando la folle idea dello scontro di civiltà, sono parsi ancora ben fissi su un punto di vista che prevede un fronte islamico e un fronte occidentale, affannandosi nel tentativo di capire chi avesse vinto e chi avesse perso.
Eppure i fatti che stanno avvenendo in tutto il mondo sembrano ben chiari. Questa distinzione trasversale e transnazionale tra classe dirigente e classe subalterna si sta allargando vertiginosamente, e la seconda sta iniziando a prendere coscienza di sé, intraprendendo una strategia di lotta che, pur con le enormi differenze del caso, ha dei fattori unificanti che mi pare impossibile non vedere.
Insomma, dieci anni dopo l'11 settembre il mondo è cambiato moltissimo. Abbiamo assistito a un paio di guerre e a un paio di crisi economiche (che forse è la stessa cosa, una crisi sistemica risolvibile soltanto con il crollo), eppure non ci è bastato. Il nostro livello di realtà in dieci anni sembra addirittura regredito. Invece di comprendere in tutta la sua semplicità i problemi che il neoliberismo sfrenato e transnazionale ci sta spiattellando in faccia, ci ostiniamo a trarre conforto da una visione semplicistica delle cose che fa comodo soltanto a chi in questi momenti di crisi continua ad arricchirsi.
In fondo la chiusura di Langewiesche è più che condivisibile: «Al diavolo l'11 settembre». Ma i motivi per cui essere d'accordo sono altri: al diavolo le semplificazioni mediatiche, perché come ha detto intelligentemente Lucio Caracciolo, «l'anno zero non esiste, è solo un'illusione». Il mondo non si può capire attraverso lo sguardo banalizzante e semplicistico dei media, per risolvere la sua complessità basta solo smettere di guardarlo riflesso nello specchio che abbiamo di fronte, basta girarsi è guardarlo direttamente con i nostri occhi. 

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