05/09/2012

DAI NOSTRI INVIATI 1997-2011

«Mi sento a disagio nelle situazioni stabili», scriveva Ryszard Kapuscinski: «la mia scuola di vita è la guerra, il movimento, i conflitti, le tensioni, i fatti che si scatenano a ritmo serrato». I grandi reporter sono sempre là dove il mondo si spacca in superficie e tutto muta in modo violento e vertiginoso. Scrivono, fotografano, riprendono immagini, cercando nei volti delle persone e nelle strade delle città le ragioni più profonde delle storie, i segni per indovinarne il futuro. Da Tiziano Terzani a Ettore Mo, da Robert Fisk ad Amitav Ghosh, Festivaletteratura ha ospitato dal 1997 al 2011 alcuni tra i più autorevoli giornalisti e scrittori che si sono avventurati nelle zone calde del mondo per raccontare, giorno per giorno, i mutamenti in corso. Presso l'Archivio di Festivaletteratura sarà possibile riascoltare nei giorni del Festival le registrazioni di alcuni di quegli interventi. Valerio Pellizzari inaugurerà lo spazio di ascolto offrendo una testimonianza d'eccezione sulla vita quotidiana di un inviato speciale.
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Sono sempre maggiori le sfide per gli inviati al fronte, la branchia in prima linea del giornalismo mondiale, alle prese con il difficile connubbio tra velocità di circolazione e diffusione della notizie, Twitter e verifica delle fonti. Ecco l'intervista a Valerio Pellizzari.

«Come è cambiata la figura del corrispondente dall'estero, dell'inviato al fronte al tempo di Twitter usato come paradigma della rivoluzione di Piazza Tahrir?»

«Penso che se uno sta sul posto questa è la prima condizione per lavorare in modo serio. Però, anche sulla storia siriana, per cui io personalmente mi indigno anche per come l'Occidente faccia finta di voltarsi dall'altra parte (diplomaticamente parlando), non riesco a capire nulla da questi filmati che si vedono in tv e in Rete. Quando si vede che gli insorti sparano gridando 'Allah Akbar' non si capisce se lo facciano per i cronisti o se ci siano veramente dei soldati sul fronte opposto: se non vedo inquadrata l'altra parte del fronte, cosa vedo? Nulla. È una testimonianza immediata, ma che ha dei grossi limiti, non riuscendo a dimostrare nulla. Una testimonianza onesta non può essere necessariamente una testimonianza immediata: può esserlo, ma non è automatico». 

«Per un giornalista quindi assumono sempre più importanza la presenza sul campo e la verifica delle fonti?»

«Le dirò di più. La verifica attenta rallenta il meccanismo industriale, che ormai vige nei giornali, ed è sempre più difficile e non accettata all'interno delle redazioni. Altro requisito indispensabile per un buon cronista è avere la schiena dritta, a volte occorre dire di no».

«Lei ha intervistato alcuni tra i più grandi personaggi della storia, quale criterio ha adottato per estrapolare il meglio da questi colloqui?»

«Devi tener conto che non ti capiterà una seconda volta di intervistare personaggi di questo tipo. Nei primi cinque minuti devi quindi saper suscitare curiosità nell'intervistato, che non sa nulla di te: dopodiché puoi aver già vinto la partita oppure averla persa clamorosamente. Dipende tutto da quanto riesci a dimostrare, a livello di umanità ed intelligenza». 
 

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