05/09/2012
TRENT'ANNI ACCANTO A KUBRICK
2012_09_05_010
Emilio D'Alessandro è un giovane che negli anni '60 va in cerca di fortuna in Inghilterra. Dopo qualche anno passato nell'ambiente delle corse automobilistiche, Emilio trova lavoro come autista privato: ad assumerlo, nel 1970, è un certo Stanley Kubrick. Leale, discreto e trasparente, il giovane autista si guadagna la fiducia del grande regista, rimanendo al suo fianco per quasi trent'anni e diventandone via via il segretario, il tuttofare, l'amico più fidato. È Emilio a fare da interprete nelle lunghe telefonate di Kubrick con Fellini, a rassicurare un terrorizzato Ennio Morricone chiamato per le musiche di Barry Lyndon, a spiare Spielberg sul set di "Jurassic Park" per sincerarsi che seguisse i consigli datigli da Kubrick. Insieme a Filippo Ulivieri, curatore di ArchivioKubrick e coautore di Stanley Kubrick e me, D'Alessandro traccerà una biografia confidenziale del regista di "2001 Odissea nello spazio" con l'aiuto di documenti fotografici inediti.
L'evento 010 ha subito variazioni rispetto a quanto riportato sul programma.
Originariamente non era prevista la presenza di Michele De Mieri, della redazione di Radio Tre Fahrenheit.
L'evento 010 ha subito variazioni rispetto a quanto riportato sul programma.
Originariamente non era prevista la presenza di Michele De Mieri, della redazione di Radio Tre Fahrenheit.
English version not available
Italiano
Di Kubrick artista restano numerose testimonianze e soprattutto restano alcuni dei film che più hanno segnato la storia del cinema, tanto da diventare oggetto di citazioni da parte dei colleghi e di ammirazione da parte del pubblico di mezzo mondo. Ma il racconto di Emilio d'Alessandro svela del regista il lato più domestico e quotidiano. Con l'aiuto di Filippo Ulivieri, curatore di ArchivioKubrick.it, Emilio d'Alessandro ripercorre in "Stanley Kubrick e me" la sua lunga esperienza accanto al regista. Il primo incontro fra i due è breve, informale: Kubrick cerca un autista personale e D'Alessandro, con il suo passato da pilota di Formula Ford, gli pare la persona giusta. Solo due richieste: «niente cravatta» e «non mi chiamare 'Sir', il mio nome è Stanley». «Non avevo mai pensato che Stanley fosse così casual», commenta D'Alessandro, che alla cadenza laziale (è originario di Cassino) unisce un accento inglese che tradisce la lunga permanenza all'estero. Questa spontaneità della lingua, assieme alla vena ironica che connota l'intero racconto, spiega l'interesse e l'attenzione del pubblico dell'Aula Magna dell'Università di Mantova. Dalla primavera del 1971 Emilio diventa non solo l'autista, ma anche il factotum e l'assistente personale di Stanley: la mattina alle 7 è già alla guida, intento a svolgere le commissioni segnate da Kubrick su una nota; poi apre l'ufficio del regista, di cui è l'unico ad avere le chiavi; accompagna gli attori sui set e spesso si trova ad effettuare consegne speciali, come l'enorme fallo di porcellana di "Arancia meccanica" o due scatole da caffè piene di preservativi destinati ai giovani irlandesi della troupe di "Barry Lyndon" (ma alla dogana le scatole finiscono nelle mani degli artificieri, che le fanno brillare). Il lavoro è divertente e gratificante («ogni giorno con Stanley era un giorno all'università») ma anche impegnativo; al punto che Emilio, al fianco di Kubrick negli anni di film come "Shining" e "Full Metal Jacket" (oltre che dei progetti per i film mai realizzati su Napoleone e sull'olocausto), dichiara di non aver mai trovato il tempo di guardare uno dei film di Stanley. "Il dottor Stranamore", visto qualche anno prima di assumere l'incarico, pare essergli bastato, ma soprattutto - dichiara sorridendo - «per guardare un suo film ci andavano un paio d'ore, e io non le avevo». Michele de Mieri, redattore di "Farenheit" su Radio 3 e moderatore dell'incontro, suggerisce una spiegazione diversa per questo disinteresse, forse la verità è più semplice: a Emilio d'Alessandro poco interessava accedere al genio, alle ossessioni da grande artista di Kubrick; nel ricordo raccontato e scritto protagonista è la figura umana di un amico generoso e di un datore di lavoro esemplare. Nessuna rivelazione sul 'genio Kubrick', insomma, ma una affascinante finestra sulla storia personale e quotidiana di Stanley.