07/09/2012
Etgar Keret
2012_09_07_067
«Nella letteratura ebraica c'è una linea della diaspora e una linea israeliana, io mi sento di appartenere alla prima. Gli scrittori della diaspora avevano una doppia identità, quella ebraica e quella del Paese in cui vivevano. La doppia identità mi sembra più interessante, consente un approccio cosmopolita al mondo, una visione sia interna che esterna della realtà». Scrittore di punta della generazione dei quarantenni, Etgar Keret è una delle penne più taglienti e anticonformiste d'Israele. Sceneggiatore, regista (con il film "Meduse", girato insieme alla moglie, ha vinto la Caméra d'Or al Festival di Cannes), narratore che trova nel racconto ("Pizzeria Kamikaze", "All'improvviso bussano alla porta") la sua misura privilegiata, Keret parla della sua scrittura ironica e surreale e del rapporto con la letteratura del suo paese. Con il contributo dell'Ufficio Culturale dell'Ambasciata di Israele in Italia.
L'evento 067 ha subito variazioni rispetto a quanto riportato sul programma.
Originariamente era prevista la presenza di Giulio Busi.
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Originariamente era prevista la presenza di Giulio Busi.
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Etgar Keret viene inserito fra gli autori del cosiddetto 'ombrello yiddish', cioè coloro che (in una linea che unisce Kafka a Woody Allen) si rifugiano in quell'universo apparentemente assurdo fatto di ribellione contro una religione severa, spesso condita da un'abbondante dose di ironia. Simboli di questa letteratura sono, tra gli altri, Englander e Auslander, entrambi ospiti di questa edizione del Festival. Keret addirittura è stato osannato da pilastri della letteratura mondiale come Safran Foer e Rushdie. Il "New York Times" ha usato per lui l'etichetta di genio: «Mio fratello mi ha fatto notare che un epiteto del genere lo userebbero solo quel giornale e nostra madre», chiosa ironico Keret. Oltre ad essere sceneggiatore di graphic novels e per il cinema, Keret ha il suo punto di forza nella scrittura di racconti. In uno di questi, egli immagina di essere minacciato da un uomo che gli punta una pistola alla tempia e gli intima di scrivere, quasi in una versione aggiornata delle "Mille e una notte". Per molti scrittori la letteratura è il luogo della libertà, nel quale non ci saranno vittime: «Quando mi traducono in italiano sembro più saggio» afferma Keret «dovrò portarmi in giro un interprete italiano in ogni mio evento, così i miei amici cambieranno idea sul sottoscritto». Un grande come Amos Oz ha scelto, fra i nuovi nomi della letteratura ebraica, quello di Keret. Va detto che quest'ultimo è completamente diverso da Oz, per stili e temi: ad ogni modo i genitori dello stesso Keret sopravvissero allo sterminio nazista. Keret si discosta inoltre da Oz (e da Kafka, da Singer e da Babel) per il fatto di non voler ricoprire il ruolo di 'scrittore guida', un faro per i lettori: «Non voglio essere quello che sa qualcosa più degli altri, ma un uomo che su un treno ne incontra un altro e gli racconta la sua storia». Se si dovesse collocare Keret come autore, il suo posto sarebbe sicuramente più vicino agli ebrei della diaspora che non a quelli nati in Israele: «Sono stato anche il peggior soldato della storia di Israele, durante il mio servizio di leva», spiega l'autore, che nel suo albero genealogico ha anche legami particolari con l'Italia: «Mio padre dopo la seconda guerra mondiale si trasferì nel Sud Italia e lì comprò armi dalla mafia». Nonostante l'ironia che lo contraddistingue, Keret sa anche raccontare storie scomode: «A volte cadendo anche nel mondo delle bugie. Perché comunque, se una bugia è detta a fin di bene, spesso è meglio della verità».