07/09/2012

ABITARE L'ABITO

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«L'abito giù dal corpo» è il concetto su cui si fonda l'intero percorso professionale di Nanni Strada. Un lavoro trentennale svolto nel campo della moda anche in collaborazione con le principali aziende del settore (Missoni, Fiorucci, Max Mara, Dolomite, Zegna), ma strettamente correlato al mondo del progetto, del design e dell'architettura. Un'esperienza esemplare per i concetti che sottendono ogni momento di questa originale ricerca, condotta partendo da ragionamenti lontani dalle 'mode' e dalle regole della sartoria e vicina, per approccio, al design e all'architettura. Sull'idea di abito 'indemodabile', Nanni Strada si confronta con Beppe Finessi, critico e storico del design.
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Scarpa da ginnastica, leggins, casacchina. Comodità prima tutto. Tre semplici indumenti sono tutto ciò che non riesce a contenere l'esuberanza di Nanni Strada, che neanche la staticità di un tavolo e di una sedia riescono ad arginare. Il teatro Bibiena, quest'oggi, è stato riempito non solo di fili, colori e tessuti, ma soprattutto di idee, concetti e oggetti. Sono questi gli ingredienti di cui un designer dispone. Nanni Strada, infatti, non può essere considerata una stilista nel senso stretto del termine, quanto piuttosto una designer dell'abito, una disegnatrice industriale di moda, una progettista prima di tutto. Come racconta magistralmente Giulio Carlo Argan in "Progetto e Oggetto", la ricerca estetica coincide con la metodologia progettuale. E vedendo i disegni di Nanni Strada ci si rende conto che ciò che apparentemente sembra un tubo innocente in realtà è una manica, ciò che a prima vista sembrerebbe un quadrato inanimato, altro non è che un mantello. In quanto forma assoluta il quadrato diventa punto di partenza privilegiato per una ricerca progettuale, così come lo è stato per Kazimir Malevic o per Bruno Munari. Una perpetua depurazione dell'oggetto vive tra le pieghe delle opere della Strada, così come Clement Greenberg l'aveva teorizzata per l'Espressionismo Astratto americano: la ricerca di un concetto di piattezza, partita dalle avanguardie storiche primonovecentesche, aveva caratterizzato tutta la prima metà del secolo e approda nelle piatte ma vibranti superfici cromatiche di Rothko e nel rovesciamento di 90° della tela da parte di Pollock per l'esecuzione dei suoi dripping. Questo è quello che leggo nei progetti di Nanni Strada. I bottoni cadono, le cuciture si dimezzano, le forme vengono depurate. Indossare un quadrato è possibile, a quanto pare. Più che indossare, si è spesso parlato di abitare,nel suo senso etimologico di 'habitare', 'tenere', 'aver cura di', come sottolinea Beppe Finessi durante l'intervista. Dunque un'ibrida composizione viene a prendere forma nei lavori di Nanni Strada: disegno,progetto, design, industria, architettura, fotografia. Per dirla con Vitta, il suo "progetto della bellezza" risiede nelle pieghe interstiziali tra queste discipline, che si compenetrano e si danno forza l'un l'altra. Nanni Strada esplora i limiti fisici e psicologici dei tessuti e dei popoli. Maniche esageratamente lunghe testimoniano del suo essere perennemente ribelle, non conforme alle regole. Vestiti spogliati dei loro manichini, fotografati a terra dall'alto, in close up, disposti in geometriche composizioni da Oliviero Toscani. L'abito, perdendo la sua funzione primaria, quello di contenere e coprire un corpo, ne acquista una ontologicamente diversa. Ciononostante Nanni Strada parte dall'indossabilità e dalla comodità delle sue creazioni. Soffici, democratiche, filosofiche.

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