09/09/2012
È ANCORA POSSIBILE LA POESIA?
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All'atto di ricevere il Premio Nobel nel 1975, Montale tenne un celebre discorso intitolato "È ancora possibile la poesia?". Oggi, a oltre trentacinque anni da quell'occasione, il Festival propone un incontro per riflettere sullo spazio che la poesia può ancora avere nella letteratura, nell'espressione e nella comunicazione contemporanee. Oltre a Daniele Piccini, critico e poeta, discutono dell'argomento la linguista Maria Luisa Altieri Biagi ("Parola") e il filologo Pietro Beltrami. Insieme cercheranno di immaginare quale sia il futuro possibile della poesia, a partire dalla sua tradizione e dalle strettoie che sembrano insidiarla nel presente, citando testi, autori, percorsi e dichiarando le ragioni del proprio credere (o meno) nella poesia.
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Italiano
È ancora possibile la poesia? È una domanda a cui è molto difficile rispondere. Ci troviamo, oggi, in una situazione «liquida» (per dirla con Zygmunt Bauman, diverse volte protagonista di questo Festivaletteratura 2012), nella quale tutte le definizioni e le categorie fluttuano di continuo senza possibilità di fermarle mai del tutto.
La stessa cosa accade alla poesia, che non risulta più inquadrabile in canoni prestabiliti: proprio questo è stato l'argomento centrale di uno degli ultimi incontri poetici del Festival, a cui hanno dato il loro prezioso contributo Maria Luisa Altieri Biagi, linguista e professoressa emerita all'Università di Bologna e Pietro Beltrami, filologo, con la mediazione di Daniele Piccini, critico e poeta. La domanda, poi, non è altro che una citazione di Montale a cui non poté capitare occasione migliore, come quella del Premio Nobel conferitogli nel 1975, per tenere un discorso che ruotava proprio intorno alla problematica di una possibilità o meno per la poesia nell'età contemporanea. Quell'età è poi trascorsa ma il problema è rimasto e forse si presenta oggi in forme più drastiche anche se meno visibili: come ha giustamente osservato la professoressa Altieri Biagi «la poesia si trova oggi tra due fuochi: da un lato la necessità di usare un linguaggio colloquiale, dall'altro l'esigenza di restare in una forma di discorso e conoscenza».
Oggi si ha l'impressione che la poesia sia legata esclusivamente alla dimensione istintiva dell'ispirazione e, se proprio si dovesse trovare un modello di riferimento, quello potrebbe essere il «versicolo» ungarettiano, salvo poi decapitarne ogni cura formale sulla metrica e sull'armonia. Dunque «da un lato ci sarebbero le responsabilità della poesia stessa che fatica a farsi ri-conoscere, dall'altro vi è il problema della poca disponibilità dei nuovi lettori ad ascoltare».
La sollecitazione più interessante è stata fornita da Beltrami, dichiarando che «il problema non è tanto definire cosa sia la poesia ma, posto che i canoni cambiano, cosa noi siamo disposti ad accettare come poesia». Allora i due aspetti, quello tecnico della forma e quello sociologico dei lettori, si uniscono in un solo, vero, problema: tornare a considerare la poesia e il linguaggio poetico per ciò che sono, ovvero un prezioso strumento di comprensione del mondo e di esplorazione del reale, esattamente come la scienza, al di là dell'opposizione polare dei reciproci metodi (induttivo e metaforico in un caso, deduttivo e logico nell'altro).
Uno strumento conoscitivo, quindi, che non va distinto neanche dal linguaggio della comunicazione, perché «abbiamo una lingua che si presta a vari usi: poetico, scientifico, comunicativo, ma resta sempre un linguaggio unico che è potente strumento di rappresentazione simbolica e fondativa» ha detto la professoressa citando Bienveniste. E la metrica? Non è nulla di eterno e non è l'unico mezzo esistente per dare vita ad una poesia 'alta', stando a quanto reputa Beltrami. L'aspetto fondamentale è la concezione formale della poesia come discorso organizzato, e per di più organizzato in termini musicali. La saggia e ottimistica conclusione della professoressa Altieri Biagi è che la poesia non va confusa con la fortuna della stessa, perché la poesia è qualcosa che resterà sempre ineliminabile.
Allora la risposta al nostro caro Eugenio Montale è sì, la poesia è e sarà sempre possibile.
La stessa cosa accade alla poesia, che non risulta più inquadrabile in canoni prestabiliti: proprio questo è stato l'argomento centrale di uno degli ultimi incontri poetici del Festival, a cui hanno dato il loro prezioso contributo Maria Luisa Altieri Biagi, linguista e professoressa emerita all'Università di Bologna e Pietro Beltrami, filologo, con la mediazione di Daniele Piccini, critico e poeta. La domanda, poi, non è altro che una citazione di Montale a cui non poté capitare occasione migliore, come quella del Premio Nobel conferitogli nel 1975, per tenere un discorso che ruotava proprio intorno alla problematica di una possibilità o meno per la poesia nell'età contemporanea. Quell'età è poi trascorsa ma il problema è rimasto e forse si presenta oggi in forme più drastiche anche se meno visibili: come ha giustamente osservato la professoressa Altieri Biagi «la poesia si trova oggi tra due fuochi: da un lato la necessità di usare un linguaggio colloquiale, dall'altro l'esigenza di restare in una forma di discorso e conoscenza».
Oggi si ha l'impressione che la poesia sia legata esclusivamente alla dimensione istintiva dell'ispirazione e, se proprio si dovesse trovare un modello di riferimento, quello potrebbe essere il «versicolo» ungarettiano, salvo poi decapitarne ogni cura formale sulla metrica e sull'armonia. Dunque «da un lato ci sarebbero le responsabilità della poesia stessa che fatica a farsi ri-conoscere, dall'altro vi è il problema della poca disponibilità dei nuovi lettori ad ascoltare».
La sollecitazione più interessante è stata fornita da Beltrami, dichiarando che «il problema non è tanto definire cosa sia la poesia ma, posto che i canoni cambiano, cosa noi siamo disposti ad accettare come poesia». Allora i due aspetti, quello tecnico della forma e quello sociologico dei lettori, si uniscono in un solo, vero, problema: tornare a considerare la poesia e il linguaggio poetico per ciò che sono, ovvero un prezioso strumento di comprensione del mondo e di esplorazione del reale, esattamente come la scienza, al di là dell'opposizione polare dei reciproci metodi (induttivo e metaforico in un caso, deduttivo e logico nell'altro).
Uno strumento conoscitivo, quindi, che non va distinto neanche dal linguaggio della comunicazione, perché «abbiamo una lingua che si presta a vari usi: poetico, scientifico, comunicativo, ma resta sempre un linguaggio unico che è potente strumento di rappresentazione simbolica e fondativa» ha detto la professoressa citando Bienveniste. E la metrica? Non è nulla di eterno e non è l'unico mezzo esistente per dare vita ad una poesia 'alta', stando a quanto reputa Beltrami. L'aspetto fondamentale è la concezione formale della poesia come discorso organizzato, e per di più organizzato in termini musicali. La saggia e ottimistica conclusione della professoressa Altieri Biagi è che la poesia non va confusa con la fortuna della stessa, perché la poesia è qualcosa che resterà sempre ineliminabile.
Allora la risposta al nostro caro Eugenio Montale è sì, la poesia è e sarà sempre possibile.