04/09/2013
READING (NON SOLO POESIA)
2013_09_04_009
Tre giovani del '77 si incontrano per raccontare le loro passioni. Azzurra D'Agostino ("Con ordine", "D'aria sottile") scrive in dialetto e in italiano per essere dentro le cose, in prosa e in poesia, passando attraverso il teatro; Giovanni Previdi ("Due fettine di salame"), in prosa e in poesia parla del naturale trascorrere della vita, in lingua italiana e nel dialetto dell'infanzia; Stefano Liuzzo accompagna con la musica la parola e il pensiero che si compongono fino al silenzio.
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Azzurra D'Agostino entra, alta, bionda e bella, cosa che non guasta in poesia, perché la poesia è soprattutto bellezza. La chitarra di Stefano Liuzzo è lì sul tavolo e aspetta solo di essere 'maneggiata'. La Sagrestia di S. Barnaba ha una acustica ottimale, le prime note di prova lo confermano. Arriva poi Giovanni Previdi. Ora ci sono proprio tutti.
La poetessa e scrittrice Elia Malagò prende la parola per introdurre i tre protagonisti di questo reading, traccia per grandi linee gli elementi che li accomunano, sono tutti del 1977, anno in cui Bologna perde la sua ingenuità e pur venendo da luoghi diversi, hanno tutti scelto, in qualche modo, di fare di Bologna la propria città. Il dialetto è la cifra espressiva dei due poeti ed è la lingua di un tempo che non c'è più, proprio come il flamenco che Liuzzo esegue magistralmente alla chitarra, musica legata alla sua infanzia e ai suoi ricordi di bambino. La Malagò ci anticipa che si parlerà di incanto e disincanto, di altezze e di bassezze, di fiumane e zanzare sulla base di ragionamenti e riflessioni fatte partendo da Raffaello Baldini e dalla sua poesia dialettale. Dopo una bella introduzione di Liuzzo alla chitarra, Previdi ci parla del suo testo di poesie "Due fettine di salame, poesie", il testo è in dialetto mantovano, in particolare nel dialetto di Villa Poma, quello dei nonni dell'autore e dei luoghi in cui ha trascorso tutte le feste comandate fino all' adolescenza, il luogo delle radici e dei sentimenti primari. La sua poesia è istintiva, egli non viene ispirato da una bella immagine o da un tramonto o altro, la poesia gli arriva come un flash, un input, occorre stare ad aspettare e avere a portata di mano penna e foglio. Sentirgli sgranare le sillabe in dialetto è un vero piacere per le orecchie e per il cuore. Nelle sue poesie si passa, senza soluzione di continuità, da assi da stiro a mosche rimbambite, tutto condito da tanto, tanto cuore.
Poi tocca ad Azzurra D'Agostino leggere le sue poesie, sono in dialetto tosco-emiliano, un luogo non ben definibile, una terra di confine, terra di ladri e di assassini. Anche in questo caso la lingua è quella dei nonni, per meglio dire quella lingua sono ormai i suoi nonni, come se le persone siano ormai le parole che li descrivono. Tutte le poesie lette sono tratte da "Con ordine", Lietocolle editore e "D'aria sottile", edito da Transeuropa. Nelle sue parole consapevoli, scandite con voce bambina, Azzurra passa in rassegna il lutto, le persone che non ci sono più come i nonni o gli zii, raccontando gli oggetti che essi possedevano e che li rappresentano tuttora, proprio come le parole con cui li ricordiamo. Sulla stessa scia si muove poi con un progetto nuovo, un poemetto di cinquanta poesie autoprodotto, con "Anonima Impressori", dal titolo "Canti di un luogo abbandonato". Stavolta l'assente/presente è dato dai luoghi, non più dalle persone, il paesaggio alla stessa stregua delle persone è temporaneo e passeggero, da quello che resta si può risalire a quello che non c'è più. Conclude alla chitarra Liuzzo, strappando un lunghissimo applauso.
Il pubblico infatti, non resta inerme ad ascoltare. Sostiene applaudendo, incoraggia e si emoziona, sdrammatizza anche, facendo battute sugli sponsor e sui salumi, spacciandole per domande pertinenti agli autori. Nulla quaestio, un reading vivo e vivace.
La poetessa e scrittrice Elia Malagò prende la parola per introdurre i tre protagonisti di questo reading, traccia per grandi linee gli elementi che li accomunano, sono tutti del 1977, anno in cui Bologna perde la sua ingenuità e pur venendo da luoghi diversi, hanno tutti scelto, in qualche modo, di fare di Bologna la propria città. Il dialetto è la cifra espressiva dei due poeti ed è la lingua di un tempo che non c'è più, proprio come il flamenco che Liuzzo esegue magistralmente alla chitarra, musica legata alla sua infanzia e ai suoi ricordi di bambino. La Malagò ci anticipa che si parlerà di incanto e disincanto, di altezze e di bassezze, di fiumane e zanzare sulla base di ragionamenti e riflessioni fatte partendo da Raffaello Baldini e dalla sua poesia dialettale. Dopo una bella introduzione di Liuzzo alla chitarra, Previdi ci parla del suo testo di poesie "Due fettine di salame, poesie", il testo è in dialetto mantovano, in particolare nel dialetto di Villa Poma, quello dei nonni dell'autore e dei luoghi in cui ha trascorso tutte le feste comandate fino all' adolescenza, il luogo delle radici e dei sentimenti primari. La sua poesia è istintiva, egli non viene ispirato da una bella immagine o da un tramonto o altro, la poesia gli arriva come un flash, un input, occorre stare ad aspettare e avere a portata di mano penna e foglio. Sentirgli sgranare le sillabe in dialetto è un vero piacere per le orecchie e per il cuore. Nelle sue poesie si passa, senza soluzione di continuità, da assi da stiro a mosche rimbambite, tutto condito da tanto, tanto cuore.
Poi tocca ad Azzurra D'Agostino leggere le sue poesie, sono in dialetto tosco-emiliano, un luogo non ben definibile, una terra di confine, terra di ladri e di assassini. Anche in questo caso la lingua è quella dei nonni, per meglio dire quella lingua sono ormai i suoi nonni, come se le persone siano ormai le parole che li descrivono. Tutte le poesie lette sono tratte da "Con ordine", Lietocolle editore e "D'aria sottile", edito da Transeuropa. Nelle sue parole consapevoli, scandite con voce bambina, Azzurra passa in rassegna il lutto, le persone che non ci sono più come i nonni o gli zii, raccontando gli oggetti che essi possedevano e che li rappresentano tuttora, proprio come le parole con cui li ricordiamo. Sulla stessa scia si muove poi con un progetto nuovo, un poemetto di cinquanta poesie autoprodotto, con "Anonima Impressori", dal titolo "Canti di un luogo abbandonato". Stavolta l'assente/presente è dato dai luoghi, non più dalle persone, il paesaggio alla stessa stregua delle persone è temporaneo e passeggero, da quello che resta si può risalire a quello che non c'è più. Conclude alla chitarra Liuzzo, strappando un lunghissimo applauso.
Il pubblico infatti, non resta inerme ad ascoltare. Sostiene applaudendo, incoraggia e si emoziona, sdrammatizza anche, facendo battute sugli sponsor e sui salumi, spacciandole per domande pertinenti agli autori. Nulla quaestio, un reading vivo e vivace.