04/09/2013

LA COTOGNA DI ISTANBUL

2013_09_04_013
testo di Paolo Rumiz, musiche di Alfredo Lacosegliaz

Max Altenberg, viennese, incontra a Sarajevo Maa Dizdarevic, 'occhio tartaro e femori lunghi', donna splendida e selvaggia con una storia incredibile alle spalle. Una sera lei gli canta la canzone del frutto giallo, senza sapere che essa contiene il loro destino. Tre anni dopo Maa si ammala e proprio allora l'amore divampa. Da quel momento, all'ombra della 'nera signora', si leva un vento che muove anime e sensi, accende la musica e il verso, mescola lingue, strappa lacrime e sogni e procede al ritmo di ballata. Accompagnano la narrazione canti apocrifi e melodie bosniache, echi di valzer viennese e sonorità del prossimo Medio Oriente, in un affresco musicale che celebra le musicalità dell'area Balcano-Danubiana attraverso suggestioni timbriche e fascinazioni linguistiche. Ornella Serafini canto, Alfredo Lacosegliaz tambouritzas e aggeggi, Cristina Verità violino e canto, Daniele Furlan clarinetto, Orietta Fossati tastiere.
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Italiano
«Ma voi che ne sapete dell'amore?». Solo chi l'ha provato ne conosce la dolcezza celata da una buccia amara. Come quella di una cotogna, quel frutto giallo che «nasconde in sé anche il fiore». Ed è lei che diviene anche simbolo di Sarajevo, città indomita ed eroica. Paolo Rumiz scommette sulla forza delle grandi storie e si affida al ritmo del verso, della ballata. Un romanzo-canzone singolare, fascinoso, avvolgente come una storia narrata intorno al fuoco, come i 'filò di una volta'. Maximilian von Altenberg, ingegnere austriaco, viene mandato a Sarajevo per un sopralluogo nell'inverno del 1997. Un amico gli presenta la misteriosa Masa Dizdarevic, «occhio tartaro e femori lunghi», austera e selvaggia, splendida e inaccessibile, vedova e divorziata, due figlie che vivono lontane da lei. Scatta qualcosa. Un'attrazione potente che però non ha il tempo di concretizzarsi. Max torna in patria e prima di ritrovarla passano tre anni. Sono i tre anni fatidici di cui parlava "La gialla cotogna di Istanbul", la canzone d'amore che Masa gli ha cantato. Masa ora è malata, ma l'amore finalmente si accende. Da lì in poi si leva un vento che muove le anime e i sensi, che strappa lacrime e sogni. Da lì in poi comincia un'avventura che porta Max nei luoghi magici di Masa, in un viaggio che è rito, scoperta e resurrezione. La narrazione, poetica nel libro, si snoda nello spettacolo fra sonorità medio-orientali, in un affresco musicale che celebra l'area balcano-danubiana attraverso suggestioni timbriche e fascinazioni linguistiche. Sullo sfondo, l'asperità della guerra, come quella della cotogna che cogli dall'albero. È la semplice storia di un amore trovato e poi perduto, che scorre come le Sevdalinke, le canzoni d'amore della Bosnia. E l'etimo trasparente della parola si intreccia con quello portoghese della saudade. «Sono terra, prendo tutto, puoi far di me davvero ciò che vuoi». L'assedio di Sarajevo diventa poi l'assedio interiore di ogni personaggio, come già fece Margaret Mazzantini con "Venuto al mondo", romanzo-mondo di forte impegno etico, spiazzante come un thriller, emblematico come una parabola. E in esso, come in Rumiz, aleggia forte l'ombra, anzi la luce, del "Ponte sulla Drina" di Ivo Andric. Cornice e parte integrante alle parole del narratore, le musiche di Alfredo Lacosegliaz, con Ornella Serafini al canto, Cristina Verità al violino, Daniele Furlan al clarinetto, Orietta Fossati tastiere e lo stesso Lacosegliaz alla tamburitza e al mandolino.

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