05/09/2013

SUL COMODINO DEL GIUDICE

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A che cosa serve leggere un romanzo? Le risposte possono essere infinite, e senz'altro non ne esiste una che valga per tutti. Simonetta Agnello Hornby prova a darci una risposta 'professionale', partendo dalla sua lunga attività di avvocato e dall'impegno per la difesa delle donne e dell'infanzia. Niente, meglio di un romanzo, può insegnare a un giudice ad analizzare la complessità di una situazione, a interpretare i comportamenti di una persona, a mettersi di fronte allo sviluppo mai lineare delle vicende. Dei benefici giudiziari della lettura e, più in generale, del rapporto tra letteratura e realtà, l'autrice di "Il veleno dell'oleandro" e "Il male che si deve raccontare" parla con Simonetta Bitasi.
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Simonetta Agnello Hornby è abituata a raccontare vuoi per talento, vuoi per il suo mestiere di avvocato prima e poi di giudice, adora raccontare e lo trasmette. Lo stesso "Sul comodino del giudice" altro non è che un racconto, uno splendido racconto. La Hornby diventa avvocato a ventinove anni, a suo dire 'da vecchia', e quando ha ritirato 'la scartoffia' ha ricevuto dal suo anziano maestro, il giudice che più stimava, come unica raccomandazione per la futura carriera l'avere sul comodino sempre un romanzo. Nella carriera di avvocato e di giudice infatti, si sarebbe dovuta occupare della vita reale che è 'incredibile', per cui avrebbe dovuto conoscere a menadito il verosimile, la materia privilegiata dei romanzi.
Scrivere e leggere sono le facce di una stessa medaglia: se ci si pensa bene anche un giudice altro non fa che leggere le tante versioni di una stessa vicenda criminosa, quella di ogni persona coinvolta, e poi di decidere secondo criteri di verosimiglianza a quale delle storie rappresentate credere. La sua attività è leggere le diverse storie per poi scriverne una tutta nuova. Questo significa giudicare. La giustizia è una forma d'amore supremo, un amore non egoistico ma più grande, un amore per gli altri.
Forse la nostra società tutta di corsa e sempre più tecnologizzata non è più abituata ad ascoltare il racconto, è raro che qualcuno ad esempio legga ad alta voce delle storie o le inventi come si faceva un tempo e questo purtroppo sminuisce la nostra capacità di conoscere, e conoscere è l'unica cosa ci rende migliori. Forse, sostiene la scrittrice, siamo prigionieri dell'immagine che abbiamo di noi e che ci piace dare al mondo e anche questo è un ostacolo a comunicare, a raccontare cose semplici come si faceva un tempo, banalmente, in famiglia. La famiglia è un pozzo di storie e di conoscenze privilegiato, è lì che si apprendono nozioni fondamentali di qualsivoglia materia, senza mai più dimenticarle. Lo stesso raccontare per iscritto è enormemente formativo, chi legge romanzi si può scoprire esperto di cose o luoghi che non ha mai visto.
È un piacere ascoltare questa donna siciliana naturalizzata inglese, che ha in sè elementi dell'una e dell'altra cultura evidentissimi. È prima di tutto però una donna e si batte per la violenza sulle donne, tema di stringente attualità. In realtà per la scrittrice il problema è più ampio, non ama definirlo semplicemente 'femminicidio', il problema è sempre e solo di potere familiare esercitato male, malato. Il fenomeno, stando alle statistiche, non appartiene solo ai nostri giorni, forse oggi se ne parla di più e questo è sicuramente un bene, ma la violenza familiare esiste da sempre e riguarda donne, uomini e bambini allo stesso modo. La Hornby, da tecnica della materia, è concreta nel fornire soluzioni: sottolinea come sia necessario, data l'emergenza, intervenire subito con le leggi che già abbiamo, in Italia come altrove, per scongiurare subito altre morti.
Porta l'esempio concreto della sua collega Patricia Scotland, avvocato di colore, prima donna a far parte della Camera dei Lords, del Consiglio dei Ministri e primo Guardasigilli donna del Regno Unito. Questa donna molto religiosa, ispirata a suo dire da Dio, ha sentito di dover fare qualcosa di concreto per le vittime di violenza, tutte. Il risultato del suo operato, molto concreto, è stato di ridurre in soli otto anni gli omicidi in famiglia del novanta per cento. L'idea semplice ed efficacissima è stata quella di creare una sinergia tra le istituzioni tutte, informarle e formarle in modo da poter rispondere ad ogni esigenza concreta delle vittime di turno. Il supporto psicologico, medico, economico tende a rendere libera la vittima dal proprio carnefice, dandole, in concreto, un'occasione professionale, attraverso il coinvolgimento delle aziende. In Italia un progetto simile, anche se ancora in embrione, è affidato a Marina Calloni, docente alla Bicocca. La Hornby è coinvolta nel progetto, siamo sicuri ne verrà fuori qualcosa di utile e di concreto.

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