07/09/2013

PER ULISSE

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Da qualche mese è scomparso don Ulisse Bresciani, parroco nella concattedrale di Sant'Andrea in Mantova, scrittore e raffinato biblista, formatore di generazioni di giovani e guida colta di pellegrinaggi. Lo psicoanalista lacaniano Massimo Recalcati era suo amico e interlocutore. In questo evento si assisterà alla ricostruzione dell'intreccio complesso dell'amicizia tra un prete e uno psicoterapeuta.
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«Mai nome per me fu più rivelatore. Perso nella nebbia e in acque agitate, mai avrei potuto sperare di trovare una guida più forte. E come in tante avventure, ad un certo punto, tragicamente, il nocchiere è sparito, lasciandomi ancora una volta solo. Non mi conosceva. Lo ascoltavo da lontano, con la ritrosia che ormai mi è propria. Però improvvisamente sapevo dove andare. Poi ancora il buio. Mi sono chiesto subito: Perché? La risposta più consolante è stata che forse ero pronto per camminare da solo. Ma quanto è dura viaggiare da soli, e quanto è difficile scrivere adesso. Ogni occasione è buona per cercarlo ancora. Rileggendo i suoi testi, le sue dispense, i suoi libri. O insieme ad una moltitudine di persone che riempie Santa Barbara. Io, da grande egoista quale sono, lo terrò gelosamente solo per me, dentro di me, per tenere faticosamente insieme i pezzi della mia anima».
 
Per fortuna lo stesso Giovanni Nicolini, che introduce l'incontro, parla di don Ulisse come uomo di relazioni ampie e personali. «Perché ognuno ha il suo Ulisse». E Massimo Recalcati inizia subito una superba lezione che sembra proprio una di quelle alle quali ci aveva abituato (e bene) proprio don Ulisse. «Voi dite Padre Nostro». Perché Ulisse fu padre, fu stimolo continuo alla ricerca dentro di sé. Il suo servizio fu «servizio nei fatti, nell'esperienza vissuta fino alla fine». E di ascolto completo agli altri. Aveva la capacità di mettere in moto le persone, di essere un riferimento positivo unico, nella reciprocità. L'uomo infatti nasce fondamentalmente solo, disperato. Il battesimo, e il rito di toccare le orecchie e le labbra del bambino, diventa simbolo di apertura verso l'ascolto della parola, verso gli altri, verso la preghiera. L'uomo non si autogenera, non è fondato su se stesso. Nessuno di noi ha deciso dove nascere. Siamo gettati nella vita, e l'urlo disperato del neonato è quello di un essere che chiede aiuto, che chiede soccorso. È già questa una preghiera, la prima preghiera. Senza questa richiesta, senza la successiva apertura verso la parola, senza nessuno che raccolga il grido, la vita perde senso. Ma Dio, anche se inaccessibile, non è lontano, e raccoglie la preghiera. Ma attenzione. La preghiera non è una fredda richiesta di cose, come sempre più spesso accade nel nostro mondo così materiale. Ma è una preghiera per riuscire ad essere quello che già si è. Si deve dire di sì a noi stessi, perché «la cosa migliore è quello che sei». Di contro, il peccato peggiore è il non accettarsi. E questo ci ha insegnato don Ulisse come padre, in un tempo nel quale c'è l'evaporazione di questa figura. Anche attraverso una esperienza personale a tratti difficile, che appare attraverso una sua poesia, Ulisse testimonia attraverso le parole di Recalcati che bisogna ripensare la figura del padre «dai piedi». Nell'umiltà del lavaggio dei piedi il giovedì santo, nel silenzio della propria operosità che deve essere esempio di vita ricca e generativa. Questo è il padre che deve essere, non il padre-padrone che rimprovera e zittisce. Non c'è il padre dell'ira. Non bisogna avere paura di Dio. Adamo e il figliol prodigo non capiscono che il padre, la legge, non sono un impedimento alla loro libertà. Il senso è che la legge non limita, ma anzi è liberazione, un grande stimolo verso il desiderio di conoscenza. È ciò che rende capaci di vivere veramente, di godere della vita vissuta. «Si può essere sotto la legge o nella legge», vivendola come liberazione. E qui tutto si riunisce. Apritevi e sarete trovati, comprendete la parola e questa verrà a voi, perdonate e rompete la simmetria dell'odio. Tutto questo vi porterà alla vera «potenza generativa». Pregare per quello che si è, non vivere nel lamento e nella rivendicazione, dire sì alla vita e accettarsi. Avere Gesù come luogo dove accade tutto questo e dove tutto prende senso. Perché «Gesù è l'amen di Dio».

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